A Trento sabato 26 aprile il convegno della Società italiana di Medicina di montagna, per sfatare vecchi pregiudizi e mostrare nuove prospettive per la frequentazione della montagna.
Freddo, alta quota e terreno impervio non sembrano comportare rischi addizionali dal punto di vista cardiovascolare. Lo ha dichiarato il cardiologo Andrea Ponchia esponendo i risultati di una ricerca effettuata nel corso di tre anni sulle Alpi venete. Il rischio di eventi cardiovascolari fatali (morte improvvisa coronarica) e non fatali, è basso e non significativamente superiore a quello osservato, in analoghe condizioni e per fasce di età paragonabili, in pianura. Anzi, l’attività fisica in montagna, almeno fino a 3000 metri di quota, non può che apportare benefici. È tuttavia indicato eseguire una valutazione clinica e funzionale per gli uomini al di sopra dei 40 anni ed è sempre raccomandabile praticare l’attività fisica in montagna dopo un programma di allenamento graduale. I soggetti cardiopatici o ipertesi meritano invece una valutazione di tipo individuale, ma neppure per essi la montagna è preclusa a priori.
Lo stesso si può dire per i diabetici. La frequentazione della montagna è possibile non solo per i diabetici di I tipo, insulino dipendenti, di cui è stata raccolta una casistica ampia anche ad altissima quota (Cho Oyu, Aconcagua, Kilimanjaro), ma anche per i diabetici di II tipo. Anzi, come ha affermato Conxita Leal, medico di montagna di Barcellona, i diabetici di II tipo “devono” praticare l’escursionismo, che li aiuta a migliorare lo stile di vita e il controllo della malattia.
Anche per i bronchitici cronici ci sono nuove prospettive. Da tempo è noto l’effetto benefico dell’aria di montagna, a quote moderate, per i bambini asmatici. Oggi si sa che anche i bronchitici cronici, che non abbiano ancora limitazioni funzionali, traggono vantaggi dall’esercizio fisico, se svolto in un ambiente dove l’inquinamento sia ridotto o assente, come è quello montano. «Per quelli che sono affetti da vera e propria broncopneumopatia cronica ostruttiva occorre però un’attenta valutazione individuale», ha sottolineato la pneumologa Annalisa Cogo.
Nell’attività fisica in montagna e soprattutto nell’arrampicata bisogna però stare attenti a non sottoporre le articolazioni ad “usura”. Ne ha parlato Cristina Smiderle, fisiatra e medico del soccorso alpino, che ha illustrato le lesioni da uso eccessivo di mani, gomito, spalla, ginocchia e colonna vertebrale.
La sessione pomeridiana, aperta al pubblico, ha visto l’en plein della sala conferenze della Cassa di Risparmio di Trento. Gli argomenti erano tutti di grande interesse per escursionisti e alpinisti.
Federico Schena, direttore del Cebism (Centro Interuniversitario di Ricerca in Bioingegneria e Scienze Motorie) di Rovereto, ha mostrato i dati relativi al costo energetico di diversi modi di locomozione in montagna: si consuma di più camminando in salita e su terreno accidentato e ancor più con le ciaspole, ma il modo migliore per bruciare calorie (se sono in eccesso) sembra il nordic walking, cioè la camminata con bastoncini, ma questa volta…in piano.
Riguardo al problema se scegliere pancetta o barretta nell’alimentazione in montagna, Oriana Pecchio, ha risposto che alimentazione tradizionale e barrette possono e devono coesistere. Ha suggerito però di dare la preferenza a cibi il più possibile naturali (anche tra le barrette) e in alta quota di dare la preferenza ai carboidrati, seguiti dai grassi, senza eccedere nelle proteine. Tra i dati mostrati quelli dei consumi della spedizione al Monte Vinson: i quattro alpini hanno sperimentato delle barrette (studiate appositamente per loro dalla Loacker) completamente naturali e a composizione simile a quella della dieta abituale, dimostratesi molto utili durante le marce quotidiane di circa dieci ore, nel freddo e nel vento polare.
Infine è stato fatto il punto sui congelamenti da Emmanuel Cauchy, medico del soccorso di Chamonix, e Giorgio Mazzuero ed Enrico Donegani hanno discusso dell’uso dei cerotti transdermici di nitroderivati per prevenire i congelamenti. Dopo il “malessere” accusato da un noto himalaysta che li aveva applicati per la salita in vetta al Broad Peak, è fortemente sconsigliato usarli. Per altro al momento il farmaco non è registrato per questo uso. Sarebbero opportuni studi per valutarne l’efficacia, gli effetti collaterali e il dosaggio minimo per avere l’eventuale effetto terapeutico nella profilassi dei congelamenti.