Gli incidenti valanghivi verificatisi tra Italia, Svizzera e Francia sono in continuo aumento in questo primo scorcio di inverno. Più di trenta in Italia con almeno una dozzina di vittime e numerosi anche quelli in Svizzera e Francia. Paradossalmente in questo inverno la neve è stata relativamente poca, ma questo fatto non semplifica le scelte di chi vuole avventurarsi nei fuori pista, anzi le scarse precipitazioni complicano il quadro.
«Dal punto di vista nivologico ogni inverno è diverso dall’altro e quello in corso non è certamente privo di sorprese – scrivono i tecnici di Fondazione Montagna Sicura di Courmayeur – Considerando infatti i dati fino alla prima decade di gennaio, sotto i 2000-2300 m di quota, la neve è veramente poca, o del tutto assente, con valori medi di 0-60 cm di neve al suolo. L’anno scorso 2013-2014 (inverno piuttosto nevoso, il secondo dell’ultimo decennio), alla stessa data contavamo 40-120 cm. A questa quota, per trovare un inverno così magro ad inizio gennaio, da un’analisi fatta a scala regionale (Valle d’Aosta) sugli ultimi dieci anni, dobbiamo tornare indietro al freddo 2005-2006 (0-60 cm di neve al suolo) o meglio ancora all’altrettanto mite 2006-2007 (5-65 cm di neve al suolo). Tuttavia alzandoci di quota l’innevamento cambia decisamente: a 2500 m abbiamo un range di 40-140 cm, perfettamente in linea con gli ultimi cinque nevosi inverni, e senza dimenticarci che novembre, nella fascia altitudinale dei 2500 m, ha regalato cospicue nevicate: ad esempio sono caduti oltre 3 metri alla diga del Goillet (2516 m in Valtournenche)».
«Ragionando non più sulla quantità, ma sulla qualità della neve, oltre i 2300-2500 m, la scarsità di precipitazioni, l'azione dei venti, l’oscillare continuo delle temperature tra primaverili e invernali determinano la formazione di un manto nevoso molto complesso e stratificato, basti osservare la superficie nevosa che cambia nel giro di pochi metri, e la diffusione di accumuli a tutte le esposizioni – continua Fondazione Montagna Sicura – Il tutto, unito all’esiguo spessore del manto nevoso, determina condizioni di instabilità diffuse e difficili da determinare e descrivere rispetto a quelle di inverni più nevosi».
Purtroppo ogni settimana si contano dei morti e ogni volta ci si chiede come persone definite “esperte”, ma che in una pubblicazione del 2010 Anselmo Cagnati e Igor Chiambretti dell’Aineva (Associazione interregionale neve e valanghe) preferiscono chiamare “assidui frequentatori”, cadano in errori di valutazione e intraprendano escursioni che si rivelano a posteriori ad alto rischio o fatali.
Da una parte le condizioni meteorologiche e del terreno devono essere attentamente valutate in base al bollettino neve e valanghe, da leggere per intero e non solo nel sommario, aggiornato costantemente dall’Ufficio neve e valanghe delle varie regioni italiane. Seppure i morti da valanga siano andati diminuendo (circa 15 ogni cento incidenti nel 2013 rispetto ai circa 35 ogni cento incidenti nel 1985/86), sono andati aumentando gli incidenti da valanga (dati Aineva). Se quindi un migliore addestramento nell’autosoccorso e l’innovazione tecnologica, con nuovi dispositivi di ricerca e di sopravvivenza (come l’airbag), pare abbiano diminuito la mortalità, nello stesso tempo sembra esserci un aumento dell’esposizione al rischio.
Spesso, seppure non sempre, l’incidente è dovuto a errore umano e «il fattore umano è quello preponderante nel percorso di selezione del percorso», scrivono ancora Cagnati e Chiambretti nel 2010, «e si articola a sua volta in fattori interni (individuali) e fattori esterni (gruppo, organizzazione, clienti, socio-politico), ciascuno caratterizzato da specifiche problematiche». Anche gli escursionisti “esperti” possono cadere nelle cosiddette “trappole euristiche”, cioè nell’utilizzo di scorciatoie logiche per la decisione sulla meta della gita, anziché affidarsi all’analisi attenta di un’enorme mole di dati. Ne sono un esempio la familiarità con un certo ambiente, esperienze precedenti, attitudini e desideri, consenso e competitività sociale e le dinamiche di gruppo.
L’Accademia della Montagna di Trento nel 2013 ha svolto un’indagine sul processo cognitivo di valutazione del rischio. Il risultato è che l’errata fiducia nella correttezza dei propri giudizi (overconfidence), e la propensione a compiere sport o attività ricreative rischiose sono i fattori che influiscono maggiormente nel prendere la decisione sbagliata. Lo stesso studio fa notare come «l’effetto dell’età dei partecipanti (a parità di esperienza) e l’effetto dell’esperienza (a parità di età) sulla probabilità di decidere di intraprendere l’escursione siano di pari entità, ma con segno opposto: a parità di esperienza, gli escursionisti più vecchi sono più propensi ad intraprendere l’escursione; a parità di età, gli escursionisti più esperti sono meno propensi ad intraprendere l’escursione». Tale risultato evidenzia come non sia l’età in sé a rendere più cauti, bensì gli anni di esperienza pratica.
La stranezza niveo meteorologica di questo inverno non è tuttavia sufficiente a giustificare (se mai abbia senso parlare di “giustificazione”) altri incidenti, anzi proprio la stranezza deve essere un campanello di allarme in più nel processo decisionale di scelta dell’itinerario di fuoripista.