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Lo spettacolo che mi attende sulla collina di Skafatfell è magnifico.

Ad oriente la cresta dell’Oraefajokull, il ghiacciaio della terra desolata, che con i suoi 2110 metri è il punto più alto di tutta l’isola. La calotta glaciale, in questa splendida giornata estiva, irradia la sua luce contro uno sfondo cobalto. Colossali lingue di ghiaccio precipitano lungo i ripidi fianchi del massiccio. A meridione la piatta e grigia piana alluvionale dello Skeidarsandur è un deserto africano. In fondo, tenue miraggio, brilla la superficie dell’Oceano Atlantico.

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Oggi, ovunque, è luce. È la sintesi dell’Islanda, la terra dove gli elementi primordiali giocano tra loro e dominano il paesaggio , dove acqua, terra, aria e fuoco dettano il ritmo, e tutte le forme di vita, persone comprese, si aggrappano con fatica alla superficie ruvida, sperando di non venire travolti. È nelle condizioni estreme che la biodiversità esprime tutta la propria forza e capacità di adattamento.

La terrazza di Sjonarnipa, dove il ghiacciaio di Skaftafell sembra così vicino da poterlo toccare, è la meta di una splendida escursione nella riserva naturale di Skaftafell, area protetta dal 1967, e dal 2008 inclusa nei quasi 14.000 kmq del Parco Nazionale del Vatnajokull, il più grande d’Europa.

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Partendo dal centro visitatori alla base della collina si sale per un facile sentiero in direzione di Svartifoss, la Cascata Nera che si abbatte fragorosamente in un grandioso anfiteatro di basalti colonnari. Una patina umida ricopre ogni superficie, facendo risaltare il nero dei basalti, il verde della vegetazione e le sgargianti giacche impermeabili degli escursionisti.

Da qui, si prosegue decisi verso nord, seguendo le indicazioni per Sjonarnipa. Salendo ora sul dorso esposto della collina, la vegetazione prima rigogliosa si fa ora più rada, acquisendo il carattere tipico della tundra artica, in cui dominano piccoli e contorti arbusti di salice e betulla, tappeti di mirtillo ora carichi di frutti e soffici muschi.

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L’inesorabile lotta contro la perdita di suolo fertile
Il sentiero, in questo punto, come in molte riserve naturali del paese, è delimitato da centinaia di metri di corda, e negli avvallamenti, dove il ristagno delle acque piovane alimenta piccole torbiere, si procede su passerelle di legno. Piccoli segnali posti a distanze regolari mostrano una scarpa da montagna sbarrata da una linea diagonale rossa. Non è permesso uscire dai percorsi. Negli ultimi cinque anni, in seguito ad un incremento turistico annuale a doppia cifra, ho notato un fiorire di queste infrastrutture, un po’ per rendere più confortevoli e sicuri gli itinerari naturalistici più frequentati, ma soprattutto per proteggere il delicato equilibrio ecologico di questi ambienti dall’erosione.

Da oltre mille anni, da quando i primi coloni scandinavi sbarcarono in Islanda, insieme al loro famelico bestiame, per sfruttare gli immensi pascoli praticamente vergini, gli islandesi lottano contro l’inesorabile e permanente perdita di suolo fertile.

La fame di legno e il pascolo intensivo hanno portato prima ad una quasi completa deforestazione, e quindi al consumo del sottile strato di suolo, formatosi lentamente dopo l’ultima glaciazione, che ricopre la roccia, le tenere ceneri vulcaniche, i sedimenti fluviali e glaciali. Il 75% della superficie dell’isola è soggetto all’erosione, il resto sono ghiacci, rocce e una minima parte di superficie urbanizzata. Anche il calpestio incontrollato dei turisti genera un impatto negativo che va mitigato.

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Dalla pietraia che delimita la morena laterale del ghiacciaio, costellata di licheni crostosi saldamente ancorati al basalto, osservo il paesaggio nudo. Pochi organismi riescono a resistere quassù, completamente esposti alle severe condizioni climatiche.

Scendo dalla collina seguendo un altro itinerario, più breve, con una vista eccezionale verso la valle sottostante, lungo il ripido versante meridionale dell’Austurbrekkur.

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Protetti dai freddi e secchi venti artici, che disidratano anche le piante più coriacee, la vegetazione in questo punto prende vigore. Betulle, salici e sorbi raggiungono anche i quattro metri di altezza, creando le condizioni per lo sviluppo di un vero bosco. Dopo l’esperienza della tundra, l’impressione è quella di esplorare una foresta tropicale primordiale.

Bellezza di fiume artica, il fiore più bello d’Islanda
Siamo quasi alla fine della breve estate nordica, nel momento di massimo sviluppo vegetativo. Grossi cespugli di Angelica arricchiscono il sottobosco lussureggiante con i loro candidi ombrelli, mentre qualche tordo curioso saltella rapido tra i rami.

Raggiungo le nere morene frontali dello Skaftafelljokull, dove la vegetazione pioniera fatica a colonizzare le ghiaiose e instabili superfici. Osservo il fronte del ghiacciaio lordo di detriti che si immerge nella laguna fangosa, da cui sgorga il fiume che giungerà, dopo appena trenta chilometri, nell’Oceano Atlantico. In alto, oltre la cresta, gli 8000 kmq del Vatnajokull lottano strenuamente contro l’implacabile scioglimento.

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Sto per imboccare la traccia di sentiero che conduce al centro visitatori quando la vedo. Un’insolita macchia di colore, fucsia intenso, acquattata dietro un cordone di ghiaia, attira la mia attenzione. Il fiore forse più bello e straordinario di tutta l’Islanda, il Chamerion latifolium, o Bellezza di fiume artica, fa capolino temerario in un ambiente ostile. Pianta nazionale della Groenlandia, dove viene chiamata niviarsiaq, letteralmente piccola ragazza, è molto importante per le popolazioni Inuit perché ogni parte della pianta è commestibile, una risorsa fondamentale nelle terre estreme. Pianta perenne, si ancora coraggiosamente alle ghiaie, esplodendo in tutta la sua bellezza durante l’estate con dei magnifici fiori che risaltano contro le ghiaie scure.

Le risorse della Biodiversità per resistere ai cambiamenti ambientali sono infinite, e vanno oltre ogni nostra conoscenza e comprensione. In qualche modo, anche sotto il Circolo Polare Artico, la tenacia di questa splendida macchia fucsia all’ombra di immensi ghiacciai mi ricorda che la vita, nonostante tutto, troverà il modo per adattarsi al cambiamento.

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Andrea Pasqualotto, laureato in scienze naturali è guida naturalistica, si occupa di educazione ambientale ed ecoturismo. Organizza e guida trekking in Dolomiti in collaborazione con Kailas – Viaggi e Trekking (www.kailas.it). Ha vissuto in Islanda e da qualche anno accompagna viaggi in quella che considera la sua seconda patria.

Foto di Andrea Pasqualotto

 

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