Aprica, 1° marzo 2003
La nuova formula del Sunà da mars, lungi dall’intaccare il pregnante significato originario della manifestazione folcloristica aprichese, ne ha anzi enfatizzato, prolungandoli per tutta una settimana, i contenuti territoriali più ampi.
Quest’anno l’imponente ed evocativo rito del risveglio dell’erba e della primavera è diventato, per mano dell’esperto Dino Negri dell’APT (colui che, tra l’altro, insieme ad Arnaldo Negri molti anni fa ne riportò alla luce la tradizione), il primo vero Festival del Folklore, con spettacoli quasi ogni sera per sette giorni, appuntamenti che hanno coinvolto praticamente tutti i gruppi folcloristici della media Valtellina e dell’alta Valcamonica.
E venerdì sera, in occasione dell’appuntamento più importante, quello che per anni è stato l’unico momento della manifestazione, la gente non si è fatta attendere. Aprichesi, turisti, persino molti Valtellinesi, Camuni e Scalvini non hanno voluto mancare ad una tradizione che, pur essendo rimasta l’unico richiamo folcloristico legato alle tradizioni storiche della località , è diventato uno dei più importanti dell’intera provincia, e punta a crescere ancora.
I cortei, costituiti per lo più da gente del posto vestita in costume tipico o semplicemente «addobbata» con campanacci di ogni genere, sono partiti poco prima delle nove di sera dalle quattro contrade di Dosso, San Pietro, Santa Maria e Mavigna e si sono prima radunati in piazza Palabione, poi hanno raggiunto, sempre nel tipico e assordante clangore ritmato, il Palazzetto dello Sport di via Magnolta, teatro per il primo anno del raduno, degli spettacoli e della distribuzione del “machâ€.
All’interno dell’ampio salone opportunamente attrezzato per l’occasione, fra un bicchiere di vino e un piatto di polenta con salsicce e formaggio “caseraâ€, si sono alternati sul palcoscenico i gruppi folcloristici Gent de paés di Teglio, I Giaröi di Gerola Alta, Grano di Vezza d’Oglio (piacevolissimi i loro balli, come la “danza delle ciùneâ€) e l’inesauribile cantastorie Germano Melotti dei Gà lber di Monno insieme a Lorenzo Baruffaldi dei “Città di Tiranoâ€. Presentatore della serata Edoardo Cioccarelli, che ha dovuto dar fondo alle riserve vocali per farsi sentire nel frastuono. Spesso le sue battute erano infatti sottolineate da scrosci di campanacci.
All’esterno del Palazzetto, un ampio stand della Beretta distribuiva salumi, pane di segale e vin brulé gratuiti per tutti, ma c’erano anche assaggi di grappe e liquori della ditta Schenatti. Manco a dirlo, visto il cospicuo e duraturo assembramento attorno agli stand, la cosa ha avuto l’indiscusso gradimento di tutti i circa duemila – forse tremila – partecipanti, specie di quanti in coda ai cortei non sono potuti entrare subito nel Palasport.
La festa si è protratta sino a tarda ora per le vie di Aprica, lungo le quali alla spicciolata i componenti dei gruppi si dissolvevano poco alla volta rientrando nelle rispettive case, con ancora sparuti suoni di campanacci e loro echi, ultimi richiami per un’erba che in verità non è poi tanto attesa.
L’economia infatti è mutata – come spesso ricordato durante la serata – e ora si basa sulla neve. La nuova formula della tradizione ha trovato un positivo riscontro nel pubblico, senza scordare le radici da cui essa proviene, vale a dire l’origine pastorale di Aprica e delle terre di montagna circostanti. Entusiastici i commenti di tutti e addirittura attonite alcune comitive di Inglesi, a testimonianza del fatto che occasioni di questo genere sono vissute con grande interesse e partecipazione.