Dalla colonia tedesco-vallesana di Macugnaga ebbero origine quelle di Alagna, Rima e Rimella. Fin dal 1152 i conti di Biandrate avevano molti possedimenti in Valsesia. Verso la metà del XIII secolo parecchi di questi diritti nella valle furono loro strappati dalla città di Novara. Finché il 14 luglio 1257 i Biandrate si allearono col comune di Vercelli per riconquistare la ribelle Valsesia. Ma nel 1270 gli abitanti della valle appaiono del tutto affrancati dal dominio dei Biandrate. In un trattato, che risale a quell’anno, compare per la prima volta il nome di Alagna.
Per poter meglio comprendere la colonizzazione tedesca dell’alta Valsesia, le vicende feudali dei Biandrate e la lotta di emancipazione della valle, occorre rifarsi ad anni precedenti. Nel silenzio delle fonti, la tradizione locale non concorda affatto con tali deduzioni. E nel 1305 Alagna è menzionata come l’ultima parrocchia della Valgrande del Sesia. Soltanto nel 1475 Alagna diventò parrocchia indipendente.
Ancora nel XVII secolo si mostrava ad Alagna un documento di dubbia autenticità che forniva una versione sulla fondazione del paese, tramandata fino ad oggi nella tradizione orale. Secondo questo documento un certo Enrico Stauffacher, di origini tedesche, si stabilì prima nel Vallese e in seguito ad Alagna, di cui fu il fondatore, pagando una piccola imposta ai Barbavara che ebbero in feudo la Valsesia tra il 1404 e il 1412. A prestar fede a questa fonte, l’origine di Alagna non daterebbe più in là dell’inizio del XV secolo.
Gli alagnesi hanno sempre avuta ben radicata la coscienza dell’origine tedesca dei loro antenati. E’ significativo come nei più antichi documenti latini del paese il notaio premettesse sempre ai nomi di luogo la formula “ ubi dicitur theutonicae”.
Fino al ‘600 non erano molti gli alagnesi che lasciavano la loro valle per cercare lavoro all’estero. Ma dopo d’allora l’emigrazione si fece massiccia, dapprima nella Svizzera tedesca e nell’Alsazia Lorena, e a partire dalla metà del 700 anche in Francia, dove trovavan lavoro come muratori, gessatori e stuccatori.
Questa situazione produsse sensibili modifiche al dialetto locale. Furono introdotte nuove espressioni straniere, mentre scomparvero molte antiche espressioni tedesche. Nel XVII secolo invece,e in parte anche dopo, gli alagnesi sapevano scrivere e parlare ancora molto bene il loro dialetto. Si conservano tuttora in case private numerose scritture tedesche di quei tempi, non prive di una loro spigliatezza e di correttezza linguistica. Non c’è quasi famiglia di Alagna che non possegga libri religiosi importati dalla Svizzera o dalla Germania, scritti nel vecchio stile del tempo, sui quali si formarono generazioni di uomini e di donne che vi appresero, con l’avidità propria della loro mente sveglia, la dottrina e la lingua, gli episodi del Vangelo e i miracoli.
Scuola, predicazione, istruzione religiosa…tutto un tempo era in tedesco. I curati, che erano per lo più nativi del luogo, usavano per predicare un linguaggio frammisto di dialetto del luogo e di tedesco propriamente detto, che tutti però mostravano di capire.
La maggior parte dei cognomi è così tedesca: Balmer, Bodmer, Bunder (estinti), Grober, (o Gruber), Giger, Malber ecc. Con il tempo alcuni cognomi si sono italianizzati, come gli Schmid in Ferrari, Ismann in Ferro, Heinz in Enzio, Heinrich in Errico, Ronker in Ronco ecc.
In occasione di matrimoni, di battesimi o di altre liete ricorrenze gli alagnesi cantavano canzoni popolari tedesche; non solo quelle proprie della circostanza, ma tutto un repertorio di canzoni assai graziose, come quelle che iniziano con le parole: “ Gschundheit der ganzen companiu” (Salute a tutta la compagnia) oppure “ Wir Taizschi alli gleich “ (Noi tedeschi tutti uguali).
Si usavano anche dare rappresentazioni teatrali in lingua tedesca, sempre all’aperto, anche d’inverno. In occasione poi della tradizionale rappresentazione della Passione di Cristo, tanto gli spettatori che gli attori in costume (Gesù, Erode, Pilato, Caifa, i giudici, i soldati romani e persino i due ladroni) andavano in chiesa a farsi benedire dal curato, prima che avesse inizio la sacra rappresentazione. Coloro invece che impersonavano il diavolo e i carnefici dovevano restare fuori dalla porta della chiesa.