Cambia il clima, cambiano le montagne, si evolvono i materiali: la ricerca della sicurezza è uno degli elementi dell’alpinismo, ma altrettanto deve essere garantita la scelta di libertà anche se comporta dei rischi. Questo il messaggio del convegno “La sicurezza in montagna…quando viene a mancare” svoltosi a Trento nell’ambito del 60simo film festival sabato 28 aprile.
Tra i contributi più interessanti quello di Giuliano Bressan, presidente della commissione centrale materiali e tecniche del Cai, che ha presentato un excursus sull’evoluzione dei materiali da alpinismo e sulle tecniche per saggiarne la validità. Tra i contributi più “tecnici” quello di Hermann Brugger che ha annunciato l’imminente uscita di un nuovo algoritmo decisionale per le vittime da valanga per facilitare le scelte dei soccorritori sull’iter da seguire e quello di Giuseppe Miserocchi e Francesca Lanfranconi che hanno studiato la sindrome da sospensione inerte in imbrago e discusso se l’ipossia cerebrale sia o no l’evento iniziale della sincope.
Nel pomeriggio il tema della psicologia e dell’etica del rischio in montagna è stato affrontato con approcci diversi da Giacomo Stefani, presidente del Club alpino Accademico, Giuseppe Saglio, psichiatra, Hervé Barmasse, guida alpina e alpinista, Mario Milani, medico soccorritore e Marco Cavana, urgentista. «Il rischio è scelta di libertà – ha affermato Stefani – le esperienze vissute ne modificano la percezione. L’unica limitazione a questa libertà è di non mettere a rischio la vita degli altri». Accentuando le asserzioni di Stefani, Giuseppe Saglio ha affermato che il «rischio è un bisogno», come la conoscenza. L’esperienza conoscitiva, vitalizzante, però comporta dei pericoli che se superati portano a rinnovata sicurezza soddisfacendo il bisogno antagonista di protezione. Nella società contemporanea si tende a delegare le responsabilità al di fuori di noi stessi, secondo il luogo comune della “montagna assassina”, mentre è una scelta di libertà l’assunzione delle conseguenze che i nostri atti possono determinare.
Hervé Barmasse ha posto l’accento sul rapporto sequenziale tra rischio-avventura – alpinismo e ha criticato di come oggi la montagna sia servita già confezionata con l’effetto che si conosce di meno: «la guida alpina dovrebbe far “conoscere” di più la montagna ai clienti». Per altro anche i professionisti possono sbagliare e anche a lui è capitato di dover bivaccare senza attrezzatura adeguata, in alta quota, per una valutazione errata sui tempi di ascensione.
Mario Milani ha sottolineato il dovere dei soccorritori di intervenire, esponendosi ai pericoli. Nelle statistiche del soccorso alpino dal 1988 al 2011 ci sono stati 474 soccorritori infortunati e 18 morti durante gli interventi. Formazione, addestramento e conoscenza peraltro possono limitare il rischio. Altri interrogativi ha posto invece Marco Cavana, medico urgenti sta e soccorritore: cos’è estremo, cos’è il limite? Percepire, capire, sperimentare è un possibile percorso educativo e formativo per un’esposizione “responsabile” al rischio.