Il 1° febbraio 1512, il Cardinale Matteo Schiner, Vescovo di Sion e amministratore della diocesi di Novara, considerata la grave penuria “di frumento, vino, olio, legumi, pesci, ed altri cibi che si è soliti consumare in quaresima”, concesse ad alcune valli – tra le quali la valle Anzasca e quella di Macugnaga, considerate distinte – la facoltà di cibarsi di “butirro, caseo et aliis laticiis” durante i giorni di quaresima. Terminate le scorte infatti, i prodotti freschi della stalla e del pollaio erano l’unica risorsa per la sopravvivenza nei mesi di febbraio e marzo, i più duri dell’intero anno.
A tale proposito scriveva G. Rebora: “Non è una novità per nessuno che, nei paesi che conoscono l’inverno, la primavera è una festa soltanto nella fantasia dei poeti e dei musici di corte, è una festa di colori per chi ha il granaio ancora pieno. Ma alla metà di marzo le scorte sono finite per tutti, nella madia non c’è più farina né carne salata nell’apposita botte, sono finite le castagne secche, e la mucca e la capra, quando ci sono, non danno latte perché hanno appena partorito o stanno per farlo.
La campagna, anche se il disgelo è precoce, non produce nulla. A costo di apparire irriverente sono convinto che la Chiesa non poteva scegliere periodo migliore per imporre il digiuno. La Quaresima è situata appunto nel momento in cui, volenti o nolenti, tutti gli uomini che vivono dei prodotti della terra si trovano nelle condizioni migliori per osservare il precetto. Visto che la fame arriva comunque, tanto vale darle, almeno, il senso di sacrificio religioso. I quaranta giorni d’astinenza cadono nel momento in cui l’attività tentatrice del demonio è minima, gli ovini non sono ancora pronti per la macellazione, gli animali selvatici non ancora usciti dal letargo invernale, né tornati dalla migrazione”.
Da: (Storia di Macugnaga di L. Zanzi – E. Rizzi – T. Valsesia, p.135)