Presentato a Chamonix l’Atlas scientifique du Mont Blanc, progetto scientifico di grande respiro. Si tratta di un data base on line, frutto del lavoro di collaborazione tra i ricercatori dei più importanti laboratori di ricerca in biodiversità, biogeografia e glaciologia delle Alpi francesi, italiane e svizzere coordinati dal Crea, Centre de recherche sur les ecosystemes d’altitude di Chamonix. Il 27 e il 28 maggio il progetto è stato presentato al pubblico e alle scuole.
Tra gli invitati c’erano anche tre studiosi italiani, che hanno fornito dati al progetto: Augusta Cerutti e André Roveyaz, come ricercatori indipendenti ed Elena Motta, glaciologa della Fondazione Montagna Sicura di Copurmayeur.
«Ho ricevuto l’invito l’anno scorso e ho presentato la sintesi di 50 anni di studi glaciologici da me iniziati nel 1962 – spiega Augusta Cerutti – Le fotografie da me scattate negli anni ai ghiacciai del versante italiano del Monte Bianco documentano le loro variazioni. Durante la conferenza è stato dato grande risalto all’aspetto climatologico e ai modelli di previsione dei futuri cambiamenti del Monte Bianco, non solo sotto l’aspetto geologico e glaciologico, ma anche sotto quello botanico e faunistico». Gli scenari prospettati non sono certo rosei, anzi sembrano catastrofici, ma Augusta Cerutti pone dei dubbi sull’attendibilità previsionale: «Queste previsioni sono matematicamente esatte, ma sono basate sui dati attuali, senza tener conto di altri fattori che influenzano il clima molto più dell’attività antropica.»
I climatologi quando si pongono la domanda sul futuro del clima si dividono sostanzialmente in “catastrofisti” e “non catastrofisti”, alla cui schiera appartiene Augusta Cerutti, che, ritengono che allo stato attuale delle conoscenze non sia possibile vedere nell’ uiomo la causa principale dei cambiamenti climatici. «Negli ultimi 1000 anni – spiega Augusta Cerutti – assai prima della rivoluzione industriale e quindi dell’inquinamento atmosferico prodotto dalla attività umana, si sono susseguiti mutamenti climatici ben più rilevanti dell’ attuale, quali Optimum climatico del medioevo fra il IX e il XVI secolo e la Piccola età glaciale fra il 1550 e il 1850 , analiticamente studiati dallo storico francese Emmanuel le Roy Ladurie già nel 1967 e nuovamente pubblicati nel 2011, nel volume Les Fluctuations du clima ( Fayard, editore).
La “Bibbia” dei “non catastrofisti” è un volume di F. Battaglia dell’ Università di Modena, uscito nel 2008 e intitolato “La Natura e non l’attività dell’ Uomo governa il Clima”( editore: 21mo Secolo, Milano). Fondamentali fattori del clima sono l’attività solare di cui ben poco sappiamo; la circolazione dell’alta atmosfera, anch’essa per ora poco conosciuta; le rotte della grandi correnti oceaniche e altri fenomeni naturali che ancora sfuggono alla nostra conoscenza, ma di cui possiamo constatare le conseguenze. In piena era industriale, fra il 1960 e il 1988, per circa trent’anni, (chissà perché) abbiamo avuto una fase climatica fresca e umida a cui i ghiacciai del Monte Bianco hanno risposto con allungamenti delle lingue vallive che sono state di ben 750 metri per il ghiacciaio di Lex Blanche e di 500 per la Brenva. In quegli anni, vari “catastrofisti” dell’epoca, pubblicarono più opere annunciando prossima una nuova era glaciale simile a quelle del Pliocene! Invece d’improvviso nel 1989 siamo entrati nella fase del riscaldamento globale ».
Nel pomeriggio di lunedì 27 maggio in una tavola rotonda aperta al pubblico i vari centri di ricerca hanno parlato delle attività in corso. Elena Motta ha portato il contributo della Fondazione Montagna Sicura: «Ho parlato dei bilanci di massa che vengono fatti dalla Fondazione in collaborazione con Arpa Valle d’Aosta, del monitoraggio fotografico con la “camera fissa Paolo Obert” a Punta Helbronner e degli strumenti di monitoraggio dei movimenti del grande seracco pensile delle Grandes Jorasses». Ha stupito la scarsa presenza italiana tra i vari centri di ricerca e anche tra il pubblico. «Il Monte Bianco ha un versante italiano con aspetti peculiari, ma mancavano per esempio la Société de la Flore Valdôtaine e il Comitato Glaciologico Italiano – ha fatto notare Augusta Cerutti – Credo sia mancata la comunicazione a enti che dovrebbero contribuire con i loro dati all’Atlas scientifique, che continuerà a ricevere notizie e studi.»
Nella foto, al centro, Augusta Cerutti