Si scava nelle pieghe della programmazione di Locarno, per trovare la montagna, come sfondo o come soggetto dei film presentati. Non è facilissimo quest'anno, anche se in verità ci sarà per la montagna il posto d'onore, con l'attesissimo film di chiusura in Piazza Grande di Olivier Assayaz, ambientato in alta Engadina. Ma di questo daremo conto a tempo debito. Nel frattempo vi segnaliamo due documentari interessanti per ragioni diverse.
Il primo è cileno, e si intitola Muerte Blanca, opera del giovanissimo Roberto Collio (nella foto). É una rievocazione di un tragico episodio, e un omaggio al gruppo di soldati dell'esercito cileno (più precisamente del 17mo reggimento 'Los Angeles') che morirono assiderati il 18 maggio del 2005 nella Regione di Antuco, sulle Ande cilene, durante una tempesta di neve che viene denominata 'Vento Blanco'. Erano 44 soldati e un sergente.
Il film é interessante, non solo perché porta a conoscenza del pubblico un evento sconosciuto ai più, ma anche perché ha una sua originale cifra stilistica. Le riprese cinematografiche, tutte rigorosamente in bianco e nero, mostrano i baraccamenti desolatamente abbandonati (immaginiamo dopo la tragedia) dando la sensazione dell'assurdità della presenza militare in quei luoghi. La rievocazione vera e propria avviene invece attraverso una interessante animazione che dà con efficacia il senso del disastro senza operazioni di fiction che sarebbero probabilmente suonate stonate. Il tutto con una colonna sonora costituita da conversazioni radio estremamente disturbate, che testimoniano il tentativo impotente di mettere il comando in comunicazione con la pattuglia in pericolo gravissimo. Il documentario è una specie di moderna opera dell'ingegno a ricordo dei soldati. Starebbe bene in un museo di storia contemporanea, ma anche a un buon festival del cinema.
Un'altra interessante proposta viene da un regista spagnolo, Lois Patiño, e si intitola 'Montagna in ombra'. É un esercizio di stile, un corto di meno di un quarto d'ora, girato in parte nei Pirenei e in parte in Islanda. Sono riprese in campo lungo, a camera ferma, di immagini di campi innevati ripresi prevalentemente con luci radenti. Non c’è dialogo. Ne viene fuori una piccola opera d’arte e una riflessione sul rapporto tra uomo e ambiente. La neve non è mai candida, le ombre e le luci si alternano dipingendo scene surreali, in cui i puntini neri degli sciatori sulle piste sono formiche affannate su di un grande scenario. Chiude il film una grande fiaccolata notturna sulla neve, questa volta a colori. Piacevole.