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In un'epoca in cui tutto sembra essere stato salito, in campo alpinistico accade raramente di rimanere stupiti, quasi incantati. In un mondo rumoroso, fatto di spedizioni ipertecnologiche, sponsorizzate dalle calze alla cuffia e preparate con rigore clinico, non capita quasi mai di incontrare alpinisti che parlano con modestia e semplicità. Sportivi che per raggiungere un campo base impegnano tutto quel che hanno e fanno gli sherpa per saldare i loro debiti con il capo spedizione. Ma tutto ciò diventa possibile, reale, se si incontra una cordata di alpinisti russi.

Il Film Festival di Trento, nella serata di giovedì 1 maggio 2008, ha organizzato un evento dedicato al movimento alpinistico dell'ex impero sovietico, radunando nel gremito auditorium del Centro Santa Chiara i mostri sacri dell'est. Stiamo parlando di Boris Korshunov, Pavel Sahabalin, Mikhail Devy, Denis Savelyev, Serguey Nilov e Alexander Odintsov (assente Valery Bananov). Capo cordata d'eccezione il forte alpinista Simone Moro, reduce dal tentativo di salita invernale al Broad Peak (8047 m, Karakorum).

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Cercando di andare con ordine, le danze sul palco del Santa Chiara sono state aperte da Boris Korshunov, un vero e proprio mito vivente delll’alpinismo russo. Il suo nome è legato anche a quello dell'astronauta Yuri Gagarin, perchè fece parte del team di ricercatori che preparò il primo volo di un uomo nello spazio. Ma torniamo sulla terra per leggere il curriculum alpinistico di Korshunov: una lista di imprese che fa venire la pelle d'oca con oltre 60 ascensioni su montagne alte più di 7000 metri. Questo uomo è stato capace di salire in poco più di 10 ore sulla vetta del Khan – Tengri, coprendo 3000 metri di dislivello, da quota 4000 a quota 7000 metri. A 68 anni ha raggiunto  la vetta centrale dell’Annapurna e nel 2007, a 72 anni, ha salito il Cho Oyu.. Dopo numerosi tenativi all’Everest, nel 1999 ne ha toccato la cima riportandone alcuni oggetti come prova (la macchina fotografica non aveva l'autoscatto!).

E proseguiamo con Pavel Sahabalin. Nel 1998 ha salito in inverno la parete nord dell’Aksu (Pamir) 5217 m; in quello stesso anno ha aperto una nuova via sulla parete nord del Changabang 6864 m, mentre nel 2004 ha salito la parete nord dell’Everest per una nuova via e la parete nord del Khan – Tengri 6995 m per la prima volta con una cordata di soli due alpinisti. Nel 2007 ha salito il K2 per una nuova via diretta lungo la parete ovest guidando un team di 11 alpinisti russi in Pakistan.

Un altro fortissimo, Mikhail Devy. Vive a Ekaterinburg e ha realizzato 15 prime ascensioni sulle montagne di Asia, Europa e Sud America. Tra queste sei big wall in 15 giorni sul Peak 4810 in Pamir nella Karafshin Valley nel 1994, una nuova via sulla parete nord del Thalay Sagar (6905 m) in Pakistan nel 1999, una nuova via sul pilastro d’oro dello Spantik (7103 m) insieme ad Alexander Klenov nel 2000, ha partecipato ad un primo tentativo alla parete nord dello Jannu 7770 m nel 2003 ascensione riuscitagli nell’anno successivo.

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Passiamo ai più giovani con Denis Savelyev e Serguey Nilov, due dei quattro alpinisti che hanno aperto “Frammenti di libertà” sulla parete sud est della Shipton Spire’s in Pakistan, una via diretta totalmente autonoma su una parete percorsa da numerose vie. Il team ha adottato lo stile “capsula” solitamente impiegato per pareti di questo tipo. Denis Savelyev ha salito numerose big wall come il Troll Wall, El Cap, l’Half Dome e compiuto molte ascensioni in stile alpino in Caucaso e in Pamir – Alay. Sergey Nilov è uno specialista delle ascensioni invernali.

Chiusura in bellezza con Alexander Odintsov, alpinista e capo team delle più importanti spedizioni di alpinisti russi è l’ideatore del progetto “Big Walls Russian Routes “.Tra le sue prime ascensioni il Peak 4810 in Pamir nel 1995, la Troll Wall in Norvegia nel 1997, il Bhagirathi (6500 m) nel 1998, la Torre di Trango in Pakistan nel 1999, la Wall of Big Sail nell’Isola di Baffin nel 2002, la parete nord dello Jannu 7800 m nel 2004.

Una nota conclusiva: tutte le persone elencate in questo articolo, a parte il nostro Simone Moro, vivono a più di 2000 km dalle prime montagne. Le vette non facevamo parte del loro orizzonte visivo ma un forte richiamo, fatto di passione, sacrifici e tenacia, li ha portati a compiere imprese memorabili e ad entrare nell'albo d'oro del movimento alpinistico internazionale. 

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