Vivere la montagna dei walser, come tutte le realtà montane d’altronde, non è mai stato facile, la quotidianità assorbiva completamente le risorse fisiche dei montanari specialmente durante l’estate, stagione in cui dovevano fare scorta di viveri e foraggio per le bestie che gli permettessero di superare i lunghi mesi invernali. Potevano quindi dedicare ben poco tempo alla spiritualità e all’astrattezza, ma un angolo della propria casa lo riservavano al culto, un luogo riservato alla conservazione ed esposizione dei simboli religiosi quali il crocifisso, immagini sacre, statuette in legno scolpito. Era una sorta di altarino dedicato ai Santi protettori.
Il particolare più curioso e suggestivo era una piccola apertura, chiamata “Finestra dell’anima” posta sul lato Sud della casa, che secondo la tradizione, veniva aperta solo in occasione della morte di un abitante della casa, la notte della veglia, perché, come scrive il Mortarotti nel suo libro “I Walser” “L’anima trovasse il passaggio per uscire e poi richiusa e sbarrata perché il morto non trovasse più la via del ritorno”. Erano questi luoghi privati di culto, dedicati dagli antichi walser a momenti di riflessione e speranza, momenti in cui, soprattutto durante le lunghe notti invernali avevano il tempo di pensare anche ad altre cose che non fossero reali e pragmatiche, legate alla dura sopravvivenza a quelle alte quote.