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In libreria il nuovo libro di Kurt Diemberger: “Danzare sulla corda – storie della mia vita”, edizioni Il Corbaccio, raccolta di memorie parzialmente inedite. L’alpinista austriaco con all’attivo le prime ascensioni a due ottomila, racconta con il suo stile coinvolgente e autoironico, non solo le sue avventure alpinistiche, ma anche quelle cinematografiche.

Il libro rappresenta quindi un appuntamento non solo per gli alpinisti, ma anche per i cinefili di montagna, che lo hanno incontrato più volte come autore e ospite nei film festival del mondo, dove ha ottenuto numerosi riconoscimenti per le sue opere (genziana d’oro nell’89 per K2 Sogno e destino).

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Diemberger ripesca appunti dai suoi diari, ripercorrendo momenti lieti e tristi della sua lunga frequentazione della montagna, dal Monte Bianco al Gran Zebrù, dal Karakorum alla Groenlandia, tra ascensioni ed esplorazioni. La conquista del Broad Peak con Herman Buhl nel 1957, senza ossigeno e senza portatori d’alta quota, fu una pietra miliare nella storia dell’alpinismo, introducendo lo stile alpino in Himalaya. La piccola spedizione, di quattro componenti, fu tuttavia avvelenata da accuse e strascichi polemici, venuti alla luce dopo la morte di Buhl nel successivo tentativo al Chogolisa. Il libro offre un’attenta ricostruzione degli avvenimenti, con la traduzione dei taccuini di Buhl, e cerca di mettere la parola fine alla complessa vicenda.

Le parti più interessanti del volume sono però quelle dedicate all’attività di cineasta. Diemberger è autore di numerosi lungometraggi, tra cui il primo film sonoro sincrono dalla cima dell’Everest. A proposito di riprese cinematografiche può suonare un po’ dissacrante l’affermazione che “in certi casi, lasciando stare il decantato stile alpino, a 8000 metri l’aiuto di un robusto sherpa o l’uso di una bombola ad ossigeno può migliorare notevolmente la qualità dell’immagine”, ma questo è il pragmatismo dell’autore. 

Nella vita ha saputo conciliare con apparente equilibrio, attività alpinistica e affetti, stabilendo rapporti di collaborazione con i figli Hildegard e Karen, avuti dalla prima moglie Tona e Georg e Igor nati dal matrimonio con Teresa, con cui vive a Bologna, tra un viaggio e l’altro, da trent’anni. 

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Diemberger sa raccontare, come pochi altri alpinisti sanno fare, quella che gli piace chiamare la danza sulla corda della sua vita, continuando ancora, a quasi 77 anni, la sua ricerca interiore, esplorando ghiacci e rocce, perché come afferma nella prefazione, se la si sa ascoltare, “la montagna è un maestro zen”. 

La copertina del libro

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