Leila Meroi, ricercatrice in neuroscienze, è partita la scorsa settimana al seguito della spedizione al Manaslu (8163 m), cui partecipano la sorella Nives col marito Romano Benet. Per lei l’obiettivo non è, come per la sorella, un altro ottomila da collezionare , ma la prosecuzione di una ricerca.
« Il mio obiettivo è portare avanti la mia ricerca sull’Edema Cerebrale d’Alta Quota (HACE) – spiega Leila – Si tratta di una patologia rara ma potenzialmente mortale e come tale, se non trattata tempestivamente, può condurre al decesso in meno di 12 ore. La sua insorgenza è subdola, tanto che non siamo ancora a conoscenza né dei precisi meccanismi che ne stanno alla base, né della sua sintomatologia precoce. La diagnosi certa di edema cerebrale può pertanto essere fatta solamente nel momento in cui ne compaiono i sintomi tardivi, ma a quel punto l'organismo è già talmente compromesso da rendere spesso difficile il salvataggio.
Un'altra caratteristica dell'edema cerebrale da alta quota è il fenomeno dell'anosognosia, ossia l'incapacità di riconoscere il proprio stato di malattia. In montagna tutto ciò si può tradurre in mancato senso di paura, nel rifiuto di soccorso e nel mettere in atto comportamenti rischiosi, sovrastimando la possibilità di effettuare specifici compiti. Il mio obiettivo è proprio quello di identificare la sintomatologia precoce dell’edema cerebrale, mediante l’utilizzo di specifici test di tipo neurocognitivo».
La sorella Nives ci scherza su, dicendo che in buona sostanza “Leila va a misurare quanto diventiamo più scemi in alta quota”, ma in verità è la prima a rendersi conto dell’importanza nel portare avanti questa difficile linea di ricerca.
«L’alta quota è senza dubbio un laboratorio privilegiato dal quale si può ricavare molto, sia per salvaguardare l’incolumità di trekker e alpinisti, sia per studiare da vicino le modificazioni che l’organismo umano subisce in condizioni di forte stress.
Purtroppo l’impegno economico e strumentale per portare avanti questo genere di studi è oneroso ed i risultati non sempre sono immediati. La mia fortuna è quella di poter contare sulla stima e l’appoggio di persone come Roberto Giordani (Montura), la famiglia Petris (Wolf-Sauris), Manuel Lugli-Davide Arrigo (Il Nodo Infinito) e il Dott.Emanuele Biasutti (Neurologo e Responsabile del SOS URNA dell’Ospedale ‘Gervasutta’ di Udine). Senza dimenticare la Società Italiana Medicina di Montagna ed il Gruppo Sopraimille, dei quali sono recentemente entrata a far parte e che da subito mi hanno offerto l’opportunità di confrontarmi con professionisti che da tempo lavorano ad alti livelli in questo ambito.
Tutto questo si sta traducendo in nuove ed interessanti spunti di ricerca, con la speranza di poter dare un piccolo contributo alla creazione di quella che definirei una vera e propria “cultura della montagna”, basata su conoscenza e buonsenso; perché la montagna non va mai sottovalutata, ma bisogna mettere in condizione chi la frequenta di viverla con serenità e sicurezza ».