L’evoluzione della “cultura alpina” nell’era moderna e post-moderna è l’argomento de “Il tramonto delle identità tradizionali alpine” (Priuli & Verlucca – ottobre 2007 euro 14,50), ultima fatica letteraria di Annibale Salsa, docente di antropologia filosofica e culturale dell’Università di Genova e attuale presidente generale del Club Alpino Italiano.
L’autore, forte della sua “pratica” alpinistica e delle esperienze dirette del mondo alpino in età giovanile (“vissute in presa diretta dal punto di vista dei nativi”, come afferma nell’introduzione) riesce a comunicare con chiarezza e semplicità l’analisi complessa e approfondita di una civiltà millenaria al tramonto. E lo scopo di “rendere giustizia – al di fuori di ogni intenzione nostalgica o localistica – ad un mondo passato che non può essere rimosso” è pienamente raggiunto.
Più volte nel corso dell’analisi, condotta a vari livelli: storico, filosofico, antropologico, economico, psico-antropologico, con abbondanza di riferimenti, teorici e sul campo, stimolo per ulteriori ricerche e riflessioni, l’autore ripropone il pensiero che le Alpi non sono barriera, ma cerniera tra le popolazioni europee. Secondo Salsa “si può legittimamente parlare di unità culturale del mondo alpino, nella molteplicità delle forme attraverso cui esso si declina”, senza identificare necessariamente tale omogeneità con le dimensioni etnica e linguistica.
L’essenza della civiltà alpina, ancora a proposito di montagne-cerniera, sta nel carattere sovranazionale di crocevia, di organizzazione legata al transito di uomini, animali e cose e l’imposizione di confini secondo il “paradigma idrografico”, consono all’errore cartesiano di geometrizzazione dello spazio geografico, è interpretata come ulteriore provocazione della modernità verso il territorio alpino. Dove le terre alte non sono state abbandonate, alcuni fenomeni che caratterizzano l’età post-moderna, quali globalizzazione dell’economia e omologazione dei modelli comportamentali, sono alla base sia di risposte culturali secondo modelli cittadini (“strumentalizzazioni folkloristiche che accelerano le trasformazioni dei miti in stereotipi”) sia di spaesamento e disagio esistenziale.
Le conclusioni dell’autore non sono però catastrofiche; la visione ottimistica del futuro si basa su concrete possibilità di “ripartire verso la costruzione di un nuovo universo di significati”. Gli esempi virtuosi citati nell’ultimo capitolo dimostrano che ciò avviene sia utilizzando tradizionali atouts della civiltà alpina, quali “ la laboriosità, la capacità di autogovernate le proprie risorse come nei secoli passati, il superamento degli eccessi di specializzazione modernista del lavoro, in nome di un efficace plasticità dell’agire”, sia usando tecnologie avanzate.
Un’analisi storica degli strumenti del diritto di cui le popolazioni alpine si sono dotate nel corso dei secoli per conseguire diritti di autogoverno, con in appendice i testi integrali, conclude il volume, strumento di studio e appassionata dichiarazione di amore per montagne e “montanità”.