Una sera d’estate, un certo Radici di Doavo, tornava dalla Valtellina con il suo asinello carico di granoturco che aveva comprato alla fiera di Tirano.
Era solo: era molto tardi e un magnifico plenilunio gli faceva compagnia, illuminandogli il viottolo erto e dirupato degli «zappelli» d’Aprica: tanto l’asino che il suo padrone lo salivano sbuffando.
Si faceva pur sentire il caldo, perché, di giorno il sole era stato di fuoco; incominciava la siccità ; le viti, verso il tramonto, avendo le foglie appassite; le erbe e i trifogli dei prati, le celidonie sui muri avevano il capo chino al suolo.
Quando l’uomo si trovò nei pressi dell’Aprica, vide con suo grande raccapriccio, staccarsi da un bosco di noccioli, due ombre di animali e lentamente piantarsi in mezzo alla strada. Brano due enormi lupi. L’uomo incominciò a tremare di paura e l’asino a tirarsi sull’orlo della via per scansarli.
Ma le due fiere, anziché mettersi ad urlare, come è lor costume, quando sono in vista della preda, si misero ad annusare piedi, scarpe, mani dell’uomo; il granoturco, il muso, gli zoccoli dell’asino, emettendo guaiti che sembravano singhiozzi. Però, di tanto in tanto, a mezza voce, parlavano, dicendo: «Ti mangio! Ti mangio!». Ma invece d’accompagnare le parole col naturale gesto di assalto, si mantenevano tranquilli e buoni come agnelli.
L’asinaio capì che i due non dovevano essere veri lupi, perché in tal caso avrebbero dimostrato la loro natura aggressiva e spietata: piuttosto potevano essere due persone trasformate in lupi da qualche maleficio.
Li invitò quindi, a seguirlo fino a Doavo, dove li avrebbe sfamati. Come due cani, i lupi seguirono il Radici fino a casa. Questi mantenne la promessa; infatti, munta una secchia traboccante di latte da due mucche, la mise in un mastello; vi aggiunse un bel po’ di pane di segale, confezionato durante le Tempora di Natale e invitò i due lupi a mangiare. Naturalmente costoro non si fecero pregare e in un batter d’occhio lasciarono vuoto il mastello. Leccandosi i baffi, se ne andarono contenti con la coda alzata, facendo inchini al loro benefattore, rifugiandosi, poi, nel querceto accanto.
Le due belve non furono più viste né il giorno seguente né poi.
Un giorno il nostro uomo si trovava alla fiera di Tirano per i suoi soliti acquisti di granoturco e riso; il granturco l’aveva già comperato; stava contrattando il riso: pochi soldi di differenza mancavano all’accordo, quando, un signore di bell’aspetto e dall’aria distinta si presentò al Radici, chiedendo di parlargli. Il poveruomo rimase di sasso; concluse subito il contratto e si dispose a seguirlo con una tremarella da non dire. Aveva udito parlare, parecchie volte, di cattivi signori che, avevano attirato contadini innocenti nei loro palazzotti, facendoli morire atrocemente fra le lame di spaventosi trabocchetti. Ma il nobile signore, intuendo il segreto tormento del contadino, gli disse subito: «Non temete! Non vi capiterà nulla di quanto sospettate.
Sapete chi sono io? Io sono uno di quei lupi che voi avete sfamato a Doavo! Il pane delle Tempora di Natale mi ha liberato dal maleficio di una terribile strega. Chissà quanto tempo avrei dovuto rimanere in veste di lupo, se non avessi trovato voi! Ebbene, io vi sono infinitamente grato e perciò voglio premiare la vostra bontà . Venite a casa mia: non temete insidie; quanto i signori sono vendicativi, altrettanto sono riconoscenti».
Ciò detto, preso a braccetto il contadino, lo condusse a casa sua, un superbo palazzo di Tirano, con sale splendenti come il sole per ori e argenti, per enormi specchi che toccavano terra e letti che parevano baldacchini di chiesa. Diede in suo onore un pranzo che sbalordì il povero contadino, che non avrebbe immaginato neanche se ci avesse pensato cent’anni, a cui intervennero cavalieri e dame, lucenti come l’acqua al sole, e pieni di sorrisi e di compiacenza per il confuso ospite che, seduto al posto d’onore, non sapeva come fare a mangiare, nonostante i dolci incitamenti dei commensali. Terminato il pranzo, il Radici fu chiamato in uno stanzone accanto, dove il riconoscente principotto gli regalò una borsa di scudi di oro, gli ripeté mille e mille volte il suo grazie riconoscente e lo congedò, assicurandolo della sua protezione in ogni evenienza.
Il nostro buon uomo, gongolante di gioia, dopo aver salutato e ringraziato come poteva il generoso signore, partì verso il paese. Era sera, gli ultimi raggi del sole investivano Trevigno.
Giunse a Doavo a notte fonda e più felice d’un papa. La strada non l’aveva neppure vista: sembrava che avesse avuto non un paio di ali, ma due, tanto era il desiderio di portare la splendida notizia ai suoi che l’attendevano ansiosi sulla strada. Il giorno dopo, non solo Doavo sapeva la novità , ma tutta Corteno. Il Radici fu fiero di raccontare a tutti la bella avventura e terminava il suo quasi favoloso racconto, raccomandando a tutti di fare del bene, il quale presto o tardi si trova sempre.
da Leggende e tradizioni della Val di Corteno da Edolo all’Aprica (e oltre)
di Giacomo Bianchi (1905-1996)
edito da La Compagnia della Stampa 2005 – Roccafranca BS