Hervé Barmasse, insieme al tedesco David Göettler, nel corso delle prossime settimane tenterà di aprire in Tibet una nuova via sulla parete sud dello Shisha Pangma (8.027 metri). «L’idea è di salire senza ausilio di ossigeno, senza corde fisse e campi pre-allestiti. Inseguo il sogno di scalare il mio primo ottomila senza passare da una via normale. Farlo per una via nuova sarebbe bellissimo. Si tratta di un progetto coerente con l’alpinismo che ho sempre cercato di fare e di vivere, sia come atleta, sia dal punto di vista degli idealiâ€, spiega l’alpinista di Valtournenche, atleta del Team The North Face. «Un alpinismo di esplorazione e avventura, cioè fedele all’idea di confrontarmi con qualcosa che ancora non conosco e lontano dall’affollamento delle vie normali sugli ottomila. Riconosco che è un progetto molto ambizioso, ma preferisco fallire tentando l’impossibile, che salire fino in vetta seguendo una pista battuta insieme a tantissime altre persone».
Hervè Barmasse non ha mai affrontato in carriera un ottomila; quello in Tibet è la prima via che affronta dopo le notevoli modifiche nella metodologia – allenamento, alimentazione, preparazione – studiate insieme a Elena Casiraghi, Piero Cassius e Lorenzo Visconti «con i quali – ha ricordato di recente in un articolo a sua firma apparso su SportWeek – ho scoperto un nuovo concetto di esplorazione dei limiti. Sto parlando di alimentazione, preparazione atletica e conoscenza del mio corpo».
Al tentativo sullo Shisha Pangma, Barmasse arriva dopo due fasi di acclimatamento. La più recente, è iniziata il 26 aprile e ha previsto anche un paio di notti trascorse a 6mila metri su una delle montagne della valle dell’Everest. Un’altra (“necessariaâ€), i due alpinisti l’hanno poi passata a 7mila metri quando già si trovavano in Tibet.
Alla prima, svolta a febbraio, oltre a lui e a Göettler partecipò Ueli Steck l’alpinista svizzero recentemente scomparso ai piedi del Nuptse 7861m. Hervé lo ricorda così: «I punti in comune sui quali ci trovavamo d’accordo erano davvero tanti, a partire dall’alpinismo solitario. La stima nei tuoi confronti, e l’amicizia che ci ha legato, mi hanno fatto apprezzare di te l’uomo oltreché l’alpinista. Come scalatore nessuno poteva metterti in discussione, e chi lo faceva, era perché non aveva mai avuto la fortuna di condividere una giornata in montagna con te, Swiss Machine. Ho imparato molte cose nel periodo trascorso assieme, grazie di cuore Ueli.
L’alpinismo perde un riferimento importante, ma abbiamo una strada da seguire che porta il tuo nome, fatta dal tuo talento, dalla tua forza, dai tuoi sogni».
Ci sono le novità , dunque, ma c’è anche un aspetto tutt’altro che insolito per Barmasse: l’idea di “rinascita†che lo Shisha Pangma porta con sé. «Anche stavolta, infatti, mi capita di affrontare un progetto importante successivo a due infortuni (di cui uno grave) e l’idea di ripartire sempre, di motivarsi può essere una carta vincente. Finché uno è motivato e ha voglia di mettersi in gioco ce la può fare». Dal punto di vista tecnico, Barmasse descrive così la parete dello Shisha che ha deciso di aprire: «Il problema è che le difficoltà tecniche – parlo di arrampicata su roccia – le troveremo tra quota 7.300 e 7.800 metri.
Proprio la parte finale è dunque la più difficile. Si tratta di un muro verticale abbastanza tecnico, quanto esattamente lo sapremo solo dopo. È per questo motivo che su questa via non è ancora salito nessuno».