Il Bekka Brakai Chhok non è stato assolutamente un ripiego per i due scalatori che avevano rinunciato al Batura II, assediato da una spedizione coreana di diciannove persone. Pur essendo un po’ più basso del Batura II, aveva già dato del filo da torcere a più spedizioni. Gli ultimi a cimentarsi sulla montagna, nel giugno scorso, avevano installato cinque campi in salita per poi essere ricacciati da un traverso esposto e da cornici pericolose.
Barmasse e Moro, ormai ben acclimatati, sono partiti sabato scorso all’alba, dopo aver dormito una notte in tenda a 4750 metri sul ghiacciaio ai piedi della parete. Con loro lo stretto necessario per salire in vetta in giornata: leggeri avrebbero potuto procedere veloci. L’intera salita si è dimostrata più dura del previsto e il traverso che aveva interrotto i precedenti tentativi ha fatto rallentare il passo ai due scalatori che si sono visti costretti al bivacco, a 6550 metri di quota.
Moro e Barmasse erano sprovvisti di sacco piuma, telo termico, sacco da bivacco, fornellino per sciogliere la neve e viveri, ma trovato un luogo riparato dal vento, in una nicchia sotto un seracco, sono riusciti a resistere al freddo della notte, senza congelarsi, anche se senza dormire. Le difficoltà non hanno impedito ai due di godere di un ineguagliabile tramonto. Il mattino dopo con l’arrivo del sole è ricominciata la salita su tratti di misto e ghiaccio difficile, fino alla cresta finale «affilata e tagliente» e poi alle 14,30 la vetta. Il ritorno per una via diversa, meno sicura ma più veloce, è stato rapido e meno di dodici ore dopo sono arrivati alla tenda, accolti dal cuoco con una coca cola, la prima bevanda dal mattino.
La scalata ha rischiarato un po’ la tetra atmosfera che in questi giorni aleggiava sulle montagne del Karakorum dopo gli incidenti del Nanga Parbat e del K2. Nel resoconto dell’exploit compiuto sul Bekka Brakai Hervé Barmasse fa una riflessione sul rapporto tra media e montagna, che diventa protagonista delle prime pagine di giornali e telegiornali solo quando ci sono morti e incidenti, mentre vengono trascurate le storie a lieto fine. L’ascensione del Bekka Brakai è stata una bella dimostrazione che «la montagna è vita, gioia, libertà, speranza, bellezza, amore».