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La storia dell’arrampicata verso le più alte difficoltà è inscindibilmente legata alle Dolomiti. Dalla mitica scalata al Pelmo di John Ball nel 1857 ai più recenti exploit di arrampicata libera, negli ultimi 150 anni, il calcare delle Alpi orientali ha rappresentato l’ideale terreno di gioco per gli alpinisti impegnati a spostare in avanti i limiti delle salite su roccia.

Nessuno meglio di Alessandro Gogna, tra i più attenti divulgatori e testimoni dell’evoluzione tecnica in arrampicata, poteva essere in grado di analizzare in maniera sistematica la corsa verso l’estremo su roccia. La sua non è solo una conoscenza delle vie attraverso le relazioni e la loro reputazione. La peculiarità sta proprio nel fatto che la maggior parte delle linee trattate è stata ripetuta, provata e rivista con metodica lucidità e attraverso il filtro dell’ampio bagaglio di esperienza dell’autore.

E ancora, il discorso si arricchisce con uno sguardo allargato su altri gruppi calcarei come il Kaisergebirge, il Karwendel, il Dachstein e il Gësause, di cui le Dolomiti sono il nobile compendio. Infatti, fino alla prima guerra mondiale, le montagne nostrane rappresentavano il territorio di conquista per gli alpinisti austriaci e tedeschi formatisi oltralpe, che scendevano a sud alla ricerca delle ultime propaggini di calcare da domare. Nelle Dolomiti si sperimentava ciò che nei gruppi montuosi più settentrionali erano pratiche già consolidate.

La narrazione procede in maniera cronologica dall’epoca della scoperta da parte dei pionieri fino alla fase della conquista del sesto grado. Prosegue poi con le considerazioni sull’artificiale fino al suo superamento con l’avvento dell’arrampicata libera e la nascita del nuovo universo concettuale: il carattere sportivo dell’alpinismo. Il tutto analizzato attraverso i personaggi e le vie. Ciascuno segna una tappa che è anche un punto di non ritorno. Si parte dalla prima salita alla Cima Piccola di Lavaredo di Innerkofler nel 1881, si passa alla via sul Campanil Basso di Ampferer e Berger nel ’99. Poi la parete sudovest al Croz dell’Altissimo vinta da Angelo Dibona nel 1910 e la Preuss al Campanil Basso dell’11. Le prime pionieristiche vie di sesto grado risalgono agli anni ’20: non a caso furono effettuate nel Karwendel e nel Kaisergebirge.

Il mitico Diedro Ha-He fu portato a termine da Gustav Haber e Otto Herzog sulla Nord del Dreizinkenspitze nel ’21-’22; nel ’25 fu tracciata la più nota via di Fritz Wiessner e Roland Rossi alla sud-est della Fleischbank. Si arriva poi al più classico itinerario di VI con la Solleder- Lettembauer alla parete nord-ovest del Civetta. Dalla scuola di Monaco si entra negli anni d’oro del sesto, dall’epoca dell’artificiale si arriva alla libera di Messner e il suo passaggio più difficile al pilastro di mezzo al Sass dla Crusc nel ’68. In seguito avviene l’introduzione del settimo grado ad opera di Renato Casarotto allo Spiz di Lagunaz nel ’77 e poi Manolo e Mariacher. Infine, dall’apertura della Via del Pesce sulla sud della Marmolada nell’81 si giunge presto all’arrampicata sportiva e all’introduzione delle Rotpunkt: l’arrampicata libera “a vista”.

Alessandro Gogna aggiorna e amplia il suo Sentieri Verticali (Zanichelli 1987) e conclude questa massiccia ricostruzione storica spingendosi nell’analisi delle più recenti tendenze anche in prospettiva futura. Quale direzione percorrerà l’arrampicata dei prossimi anni?

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