A Courmayeur sabato 24 marzo è calato il sipario sulla ventesima edizione dei Piolets d’or con l’assegnazione di due premi ex aequo agli alpinisti più giovani e a quelli più vecchi tra quelli nominati. Il premio Walter Bonatti, piolet d’or alla carriera, è stato consegnato a Robert Paragot, accolto con una standing ovation dal pubblico.
«Saremo anche vecchi – ha commentato Mark Richey, 54 anni – ma ce l’abbiamo fatta». A lui, Steve Swenson, che di anni ne ha fatti 58 e Freddy Wilkinson, appena 33enne, è stato assegnato uno dei Piolets d’or 2012 per la prima ascensione della cima est del Saser Kangri II (7518 m), in India, seconda vetta più alta al mondo ancora inviolata. Durante la spedizione Swenson è stato male, forse un po’ più di un brutto raffreddore come ha dichiarato. Dopo aver raggiunto la cima con grande fatica, spinto dal forte desiderio di portare a compimento l’ascensione, aiutato dai compagni di cordata, è riuscito a scendere fino al campo base dal quale è stato evacuato con l’elicottero. Questo fatto è stato giudicato ininfluente, perché l’ascensione si poteva ritenere conclusa con il ritorno al campo base, dalla giuria presieduta da Michael Kennedy, caporedattore di Alpinist, e formata da Valery Babanov, Alberto Inurrategi, Ines Papert, Liu Yong e Alessandro Filippini. Secondo la motivazione del premio, «la salita è un esempio di alpinismo classico ed esplorativo in alta quota, realizzato in stile alpino. La vetta è stata raggiunta dal versante sud ovest, dopo quattro giorni di arrampicata e tre bivacchi, con le maggiori difficoltà concentrate nella parte superiore della scalata. L’esperienza del team ha permesso di raggiungere la cima in uno stile minimale e leggero». Oltre allo stile alpino è stato premiato anche lo spirito di gruppo che ha permesso a tutti e tre di arrivare in vetta.
Pieno consenso per il Piolet d’or assegnato a Luka Strazar e Nejo Marcic, i due sloveni autori della nuova via sul K7, 24 e 27 anni appena, alla loro prima esperienza himalayana, che proprio non si aspettavano di far centro al primo colpo e sono rimasti senza parole. Erano compagni di cordata da appena un anno quando in soli tre giorni hanno aperto questa nuova difficile via su una montagna, già protagonista ai Piolets d’or. «Al suo primo viaggio in Himalaya questo giovane team sloveno ha saputo utilizzare la propria esperienza, acquisita sulle montagne slovene – recita la motivazione – per portare a termine questa scalata molto tecnica, usando un’eccezionale capacità di giudizio e impegno. L'esplorazione è stata alla base del percorso scelto, che è stato eseguito con uno stile minimale da un team di scalatori non professionisti».
Una menzione speciale è andata infine alla realizzazione sulla Torre Egger, una via effimera di ghiaccio colta con sagace opportunismo dai norvegesi Biorn Eivind Aartun, scomparso a febbraio e Ole Ivar Lied, assente sia per motivi di lavoro, sia perché sarebbe stato troppo triste per lui partecipare alla festa. L'organizzazione, la giuria e gli altri nominati hanno espresso la loro solidarietà e il loro supporto ad Ole e all'intera comunità degli scalatori norvegesi.
«I Piolets d’or sono una celebrazione di valori e non una competizione – ha precisato Michael Kennedy. Tutte le realizzazioni nominate erano difficili, in stile alpino, rispettavano la cultura locale, l’ambiente e i criteri dell’avventura e dell’esplorazione previsti dai Piolets».
Applauditissimo Denis Urubko che con Gennady Dunov, suo allievo, ha tracciato una via nuova sul Pic Pobeda in Kirghizistan. Alla domanda se avrebbe preferito la nomination per l’invernale al Gasherbrum II con Simone Moro, realizzazione che pure era tra le ottantasei in lizza, ha risposto che la via sul Pobeda è nuova e questo conta più dell’altezza e delle condizioni della salita. La via sul Pobeda inoltre ha permesso di far conoscere la mondo le sue montagne ed è stato importante averla salita con un suo allievo, di circa dieci anni più giovane. Non da meno le altre due ascensioni, quella allo Xue Lian nord-est, in Cina, realizzata dal cosiddetto team dei professori, perché uno è docente di biochimica e un altro è studente di biotecnologie, Ales Holc, Peter Juvan e Igor Kremser, altro giovanissimo di 25 anni, sia infine quella allo Shark’s fin, sul Meru centrale, già tentata più volte dal 1986 e finalmente realizzata da Jimmy Chin, Conrad Anker e Renan Ozturk, gli stessi che nel 2008 erano arrivati a poche decine di metri dalla vetta.
Il Piolet d’or alla carriera è stato assegnato per la prima volta a un alpinista francese, Robert Paragot, classe 1927, uno dei padri dell’alpinismo francese e, a differenza dei suoi predecessori, alpinista non professionista. Paragot, nato a Buillon, vicino a Versailles, ha iniziato la sua carriera passando dai massi di Fontainbleu all’ascensione della Nord dei Drus nel 1950. Tra le scalate a lui più care c’è la decima ripetizione della Cassin alla Walker delle Grandes Jorasses. Nel 1954 è stato tra i protagonisti della prima ascensione della parete sud dell’Aconcagua e negli anni successivi ha partecipato alle spedizioni alla Torre Mustagh, allo Jannu e allo Huascaràn. Nel 1971 è stato capo della spedizione francese che ha conquistato il Pilastro ovest del Makalù. Tra le sue opere letterarie sono da ricordare “Makalu Pilier Ouest” scritto con Yannick Seigneur e “Vingt ans de cordée” scritto con l’amico e compagno di cordata Lucien Bérardini, scomparso nel 2005. Paragot si è detto onorato del premio e di averlo ricevuto a Courmayeur, da dove è partito tante volte per le sue ascensioni. «Se me lo hanno dato, come diceva mio padre, è perché me lo sono meritato», ha concluso con ironia, mettendo fine alle polemiche che il suo curriculum non era all’altezza di quello di Walter Bonatti, Reinhold Messner e Doug Scott.
In questa edizione dei Piolets d’or è emersa la volontà di far conoscere la manifestazione a un più vasto pubblico, con il partenariato del Trento film festival e dell’International Mountain Summit di Bressanone, alla cui prossima edizione parteciperanno i vincitori. In questa direzione vanno gli sforzi congiunti dei sindaci di Chamonix e Courmayeur che credono entrambi fortemente nella valenza promozionale dell’evento.
Sembra tuttavia che manchi ancora il “respiro nazionale” della manifestazione, visto che erano praticamente assenti i migliori rappresentati dell’alpinismo italiano, se si fa eccezione per qualche alpinista valdostano di punta come Hervé Barmasse e Arnaud Clavel, a dispetto della buona partecipazione internazionale. Fanno riflettere le parole di un “vecchio saggio” dell’alpinismo francese, Bernard Amy, «I Piolets sono importanti sia per la gratificazione personale degli alpinisti, sia perché richiamano l’attenzione dei media sull’alpinismo», ha dichiarato, ma quanto i media italiani dedichino spazio all’alpinismo, quello positivo e non solo quello delle tragedie, è ancora tutto da vedere.