Pa-Pa-Pa … Non è l’attacco della mitica “Vecchio scarpone”, che pur sarebbe in tema con l’argomento. Sono invece le tre cime che fanno da vedette ad Aprica: Pàdrio, Palabione e Pasò (s da pronunciare sonora come in casa), la prima a nord-est e le altre due a sud della località turistica orobica.
Cominciando dal Monte PÀdrio, il quale più che una cima è un PA-nettone di 2.150 m., situato al confine tra i comuni di Córteno Golgi e di Tirano, si sta sul facile-andante. Lo si può raggiungere anche a piedi dal fondovalle, ma ovviamente è molto più comodo portarsi intorno ai 1.900 m. dell’ampia e panoramica balconata presente a destra della carrozzabile, un paio di km. dopo Trivigno, direzione Guspessa. Da qui si sale il versante in direzione nord, praticamente in libertà, non essendo necessario seguire alcun sentiero perché la meta, in assenza di vegetazione d’alto fusto, è visibilissima e raggiungibile seguendo il pendio come si preferisce.
Pur essendo una montagna relativamente bassa, la sua salita non è priva d’interesse. In primo luogo panoramico: Bernina e Retiche a nord, Adamello-Baitone a est, Orobie corteno-aprichesi a sud e a seguire verso sud-ovest l’intera catena delle Orobie valtellinesi, Rosa (sì, proprio il Monte Rosa) a ovest, lontano laggiù, proprio in asse col profondo solco della Valtellina. Naturalmente grande veduta su Aprica e sulle altre località della media Valtellina e della Valdicórteno (Valcamonica).
L’ambiente è altresì interessante per la presenza delle ultime conifere modellate a bonsai dalla quota, dell’imperante erica e di decine di specie floreali, tra le quali nigritelle, dafni, anemoni, pulsatille, arnica, ecc. Frequentato dai cercatori di funghi (vi trovano l’habitat ideale il boletus æstivalis, l’edulis e il rufus), può offrire sorprese come quella di incontrare sui propri passi un’impaurita coturnice con al seguito l’intera nidiata di pulcini.
Già più faticosa la salita al Monte PAlabione (2.361 m.), pur raggiungibile da luglio ad agosto fino intorno ai 1.900-2.000 per mezzo degli impianti omonimi. Il sentiero classico è quello che affronta la “pala” da nord-nordest, il n. 340. Piuttosto ripido, dànno soddisfazione il rapido allargamento del panorama e il parallelo rimpicciolimento visivo di Aprica. La grande croce presente sulla vetta appare solo quando si è poche decine di metri al di sotto. Bello e abbastanza ampio lo spiazzo della cima, da dove si ammirano finalmente le vette e la valle di Campovecchio. Sotto, a perpendicolo verso sud, in fondo ai paurosi costoni che reggono il roccione Palabione, si vedono ancora bene gli otto commoventi ruderi di Malga Pasò.
La salita alla montagna oggi più di moda è quella da ovest, lungo la ferrata “Via del Cuore”, che attacca lungo il filo di cresta poche decine di metri a est del Laghetto dei Purscéi, realizzata alcuni anni orsono.
Anche dal Palabione grandi vedute a 360°, sebbene verso sud la visuale sia spazialmente più limitata a causa delle vicine Orobie nord-est. Begli scorci della zona sciistica, dei laghi del Palabione, del Rifugio CAI Valtellina e della conca di Pian di Gembro di fronte.
Come tutte le cime “ospitali” di questa altezza, anche quella del Palabione è cosparsa di escrementi di ungulati, selvatici ma anche e soprattutto domestici (pecore), che apprezzano l’aria e l’erbetta fine. Proprio per tale ragione vi cresce il delizioso Buon Enrico, buono come e più degli spinaci.
Ed ecco Cima PAsò (2.575 m., s da pronunciare sonora come in casa), la più elevata delle tre PA aprichesi. Da Aprica appare come una bella vetta a triangolo, con il vertice appena arrotondato. La classica via escursionistica di salita è quella che l’aggira dalla Val Belviso, partendo da Malga Magnolta (1.980 m.) in direzione di Malga Magnola. Ben prima di raggiungere quest’ultima, si taglia a sinistra risalendo il pendio lungo il sentiero n. 330, che porta al bel Bivacco Aprica (2.227 m.).
Da qui il sentiero prosegue in direzione est e reca, in mezzo al ciclopico sfasciume roccioso, nel regno delle marmotte, oltre che dei camosci. I quali ti guardano sovente dall’alto di qualche rupe e, quando tu hai sudato per guadagnarla, loro sono già su una più elevata di 80 metri e si fanno beffa cornuta di te. Rinfrescanti vedute sul grande Lago Belviso e sui nevai del Monte Torena (2.911 m.), che si erge di fronte sull’altro lato della Val Belviso e custodisce in grembo le meraviglie dei laghi Nero e Verde e le sue rocce incise.
Quando il sentiero s’inerpica verso la Bocchetta dell’Aquila (ca. 2.500 m.) il terreno smette di essere pietroso e diventa quello roccioso e ripido della sommità ormai prossima. Dalla bocchetta, veduta da brivido su Aprica e sulla zona del Palabione. Poi avanti ancora, seguendo il tortuoso sentierino, o magari esercitando un poco le umane capacità prensili su invitanti roccette. Infine la cima, che è sì relativamente stretta, ma che si allunga verso sud-ovest formando una conchetta: giaciglio evidente di greggi. Imponente da qui il massiccio Monte Telènek (2.754 m.), che incombe poco in là come un apparente orco, in realtà non così cattivo come sembra. Altra via di salita (o discesa) è quella ardituccia dalla parete nord (segnavia n. 327), che però confluisce con il 330 alla Bocchetta dell’Aquila.
Si potrebbe ricordare, per par condicio e per assonanza, anche il Monte Baradello (2.2.58 m.), che sebbene faccia BA e non PA è una bella salita panoramica, specie dallo Zappello dell’Asino (2.029 m.) in su.
Sono, le tre PA (e la sorella BA) aprichesi, cime accessibili ai più, eppure di grande soddisfazione per gli amanti della montagna non in cerca di prestazioni. Anche se è meglio rinunciare all’idea di tornare con il carniere pieno di Buon Enrico poiché, così come spunta, gli ungulati se lo brucano.