In questi ultime settimane la stampa locale ha dato un certo risalto della venuta di alcune persone da Paesi e continenti lontani per ripercorrere il sentiero tra Tirano e Grigioni che circa 65 anni fa fu la via della salvezza loro e dei familiari. Sfollati all’Aprica già dal 1942, oltre 200 ebrei di ogni età poterono infatti sottrarsi, dopo l’8 settembre 1943, ad un destino di deportazione e di probabilmente di morte attraversando il confine della Confederazione Elvetica, che li accoglieva.
Determinante perché l’espatrio potesse concretizzarsi e concludersi positivamente fu però l’opera di alcune coraggiose persone locali o che avevano delle responsabilità a livello locale. Tra queste i sacerdoti Don Cirillo Vitalini, Don Giuseppe Carozzi, Attilio Bozzi, Emilio Negri, il capitano dei carabinieri Bernardo Mazza e il brigadiere Bruno Pilat, quest’ultimo di origini venete, comandante della stazione di Aprica, che per il suo aiuto agli ebrei e successivamente per la sua diretta collaborazione con i partigiani, fu arrestato (5 agosto del 1944) e deportato a Ludwigsburg in Germania. Pilat riuscì poi a salvarsi evadendo dal campo travestito da autista tedesco e percorrendo la strada a piedi fino a Verona.
Ebbene, la figlia del brigadiere, Bianca Pilat, è in questi giorni all’Aprica per raccogliere documenti e memorie su quei fatti tanto lontani, ma così importanti per una corretta ricostruzione storica complessiva delle terribili vicende che ebrei, internati politici e altre minoranze dovettero subire prima e durante l’ultimo conflitto mondiale in forza delle leggi razziali, non meno che della rischiosa “disubbidienza” di molti italiani.
Nata a Roma proprio nel 1943, ma “concepita all’Aprica” (sono sue parole) e portata pochi giorni dopo la nascita di nuovo nella nostra località, Bianca intende approfondire i fatti che accaddero allora, anche per fornire risposte a discendenti che non hanno più saputo nulla dei loro cari, non foss’altro per il fatto che questi morirono di malattia o di vecchiaia tra una peregrinazione obbligata e l’altra.
Bianca, infatti, in collaborazione con altri ricercatori come il prof. Alan Poletti dell’università di Auckland in Nuova Zelanda, il quale sta ricostruendo le vicende degli stranieri, per la maggior parte ebrei, internati ad Aprica negli anni tra il 1941e il 1943, intesse rapporti epistolari e no tra le persone direttamente o indirettamente coinvolte sparse per il mondo. Il suo scopo è anche quello di dimostrare con la raccolta di testimonianze il giusto rilievo che ebbero anche appartenenti all’arma dei Carabinieri, come suo padre, negli aiuti ai perseguitati.
Ha già incontrato o sentito alcuni anziani originari di Aprica e dintorni che ricordano bene quelle vicende; tra questi Antonio Moraschini, Adele Negri, Vincenzo Negri “Caramba” e il cortenese Clemente “Tino” Tognoli, comandante della brigata partigiana delle Fiamme Verdi “Antonio Schivardi”, che contava tra le proprie fila anche giovani di Aprica. Essendo la presenza della ricercatrice concomitante con la visita ai luoghi della fuga in Svizzera di Vera Neufeld, Branko Gavrin e altri, ne ha approfittato anche per raccogliere le loro testimonianze in viva voce, testimonianze che confermano il decisivo contributo del brigadiere Bruno Pilat alla messa in salvo degli sfollati e che dovrebbero finire al Museo della Shoah.
Bianca conoscerebbe e incontrerebbe però volentieri anche altri testimoni in grado di ricordare i nomi degli internati all’Aprica o delle famiglie che li ospitavano. Fatti ed episodi di quel difficile periodo della nostra storia; una storia più recente di quanto dicano i 65 anni trascorsi, dove tra le mille nefandezze brillano anche tanti casi di eroismo e carità, ancora da mettere pienamente in luce. È possibile scriverle all’indirizzo biancapilat@aol.com.