Il Museo nazionale della Montagna di Torino, la casa editrice Priuli & Verlucca e la Regione Piemonte, insieme per il volume strenna “Film delle montagne. Manifesti”. Per l’occasione il Museo mette a disposizione del pubblico una parte significativa della sua raccolta, 660 manifesti, scelti pensando più all’iconografia che alla storia del cinema, come spiegano i curatori del volume, Aldo Audisio, direttore del Museo Nazionale della Montagna, e Angelica Natta Soleri, conservatrice del Fondo Documentazione Cinema.
Grande attenzione è stata rivolta alla forza di suggestione e di coinvolgimento dell’immagine e della grafica come pubblicità per la pellicola. Attraverso i brevi testi che spiegano «il ruolo determinante giocato dai manifesti nell’alimentare la magia del cinema di montagna», si offrono piani diversi di interpretazione. Il lettore viene guidato a guardare le diverse soluzioni grafiche con occhio attento, per cogliere particolari inaspettati e talvolta curiosi. «La fantasia prende il volo in alcune affissioni», scrivono Audisio e Natta Soleri, come in quel Cervino bianco a chiazze nere usato per reclamizzare la “Carica dei 101”, tanto per fare un esempio. Altre volte il grafico ha escogitato espedienti per creare inconsci collegamenti, come il manifesto di “Hindou – Kouch” di Henry Agresti, del 1968. Il fondo rosso, ispirato al “maggio francese”, provocò al regista non poche critiche nell’ambiente tradizionalista della montagna.
I manifesti di cinema raccontano storie diverse per lo stesso film: «prima di tutto la storia di un prodotto, un atto di vendita e di promozione per la pellicola » come afferma Jean-Louis Capitaine, già direttore del Musée de l’Affiche et de la Publicité di Parigi. Il contenuto del film deve essere sinteticamente espresso, ma anche modulato in base alla sensibilità verso la montagna delle varie nazioni. Un esempio è il confronto tra i manifesti italiano, spagnolo, tedesco, svedese e americano per “The white tower”, film del 1950 con Alida Valli e Glenn Ford. Nello stesso tempo l’evoluzione del contenuto e dello stile riflette da un lato i cambiamenti nella produzione artistica cinematografica, dall’altro i grandi movimenti artistici europei dal Futurismo, al Costruttivismo all’Espressionismo.
Tra le montagne, semplice sfondo o protagonista del film, esaminate da Roberto Mantovani, al primo posto si trova il Cervino che si guadagnò anche un Oscar nel 1948 con il documentario di Irving Allen “Climbing the Matterhorn”, poi ci sono il Monte Bianco, le Dolomiti e gli ottomila dall’Everest al K2. Roberto Serafin racconta di “storie” della montagna, da quelle a tinte fosche che precedono la Prima guerra mondiale, alle figure eroiche del Bergfilm degli anni Venti, dalle love story hollywoodiane al pathos dell’emigrazione clandestina attraverso i monti, ben esemplificata nel “Cammino della speranza” di Pietro Germi del 1950. Infine Gianluigi Bozza parla di “gente”, quella cui i manifesti si rivolgono e quella protagonista dei film, dai bimbi sani, sorridenti e felici, di cui Heidi è paradigma, agli emigranti e ai coloni, dai cercatori d’oro e cacciatori di pellicce, agli eroi simbolo di una nazione.
A fine volume sono raccolte le schede di ogni manifesto con le caratteristiche tecniche e il nome dell’illustratore che talvolta riserva sorprese, come un “infelice” René Magritte e un superbo Roland Topor.