Una storia, quasi una relazione amorosa fatta di passione e litigi, quella lunga ormai tre anni tra Hervé e il Piergiorgio. Il primo anno un incidente a Luca Maspes pose fine ai tentativi, lo scorso anno la rinuncia per il brutto tempo, adesso la vetta.
"Penso che questa via sia l’esempio che esser tenaci, magari anche cocciuti, porta a realizzare i propri sogni – scrive Hervé, ormai arrivato a El Chalten – Quando sono partito per il terzo anno consecutivo qualcuno mi derideva…Adesso che ho raggiunto l’obiettivo sorrido e mi dico che ho fatto bene a tirar dritto per la mia strada. Una parete rimasta inviolata per così tanto tempo non la si può scalare al primo colpo. Ci va pazienza, la si deve corteggiare e infine si deve essere bravi a cogliere l’occasione giusta".
Occasione che neppure quest’anno sembrava giungere, dopo l’incidente occorso a Giovanni Ongaro quindici giorni fa. "Il Cerro Piergiorgio di per sé è una salita psicologicamente difficile – afferma Hervé – roccia marcia, arrampicata artificiale su lame “expanding”, placche lisce, crolli continui di pietre e ghiaccio e dopo l’incidente lo stress era altissimo, ma probabilmente, la nostra voglia di riuscire dove tutti avevano fallito, era ancora più alta".
L’ultimo attacco alla parete è cominciato martedì 5 febbraio, alle tre del mattino. All’alba Barmasse e Brenna arrivano nel punto dell’incidente di Ongaro e cominciano ad arrampicare, ma alle cinque del pomeriggio raffiche di vento a 100 km all’ora li costringono a scendere alla tenda. Il giorno dopo il vento si placa solo alle dieci del mattino, troppo tardi per ripartire. Aspettano fino alle due di giovedì mattina, quando iniziano a scalare con le pile frontali. All’alba il cielo è velato e la pressione scende e al pomeriggio Mario Conti comunica via radio che il barometro annuncia bufera. "Mancavano ad occhio quattro tiri e scendere sarebbe stata la via del non ritorno e dell’ennesimo fallimento. Abbiamo continuato e alle due del mattino, dopo una stretta di mano, urlavamo al mondo intero “Cumbre!!!”.
In vetta ero sfinito. Avevo tirato da primo tutti i tiri di quella interminabile giornata e gli ultimi due in piena notte. Christian è stato formidabile a resistere al freddo mentre mi assicurava alle soste. Con le raffiche di vento e i primi fiocchi di neve, in vetta non ci siamo neppure potuti rilassare, abbiamo dovuto pensare subito alla discesa. Alle undici del mattino eravamo in tenda, dopo trentatre ore consecutive di scalata".
La “Routa de lo hermano”, come è stata chiamata era completata: 950 metri di parete, 28 lunghezze classificate ED+ (6b+, A3).
Oriana Pecchio