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Di Covid e montagna si è parlato mercoledì 2 settembre nel corso di un convegno promosso dalla Società italiana di medicina di montagna (Simem) in collaborazione con la commissione centrale medica del Cai, trasmesso on line sulla pagina Facebook della Sat, Società Alpinisti tridentini, come evento del 68esimo Filmfestival di Trento.

Più che mai a tono è stato il convegno nell’edizione di quest’anno, nella quale la selezione delle opere ha privilegiato l’aspetto ambientale, sociale e politico delle montagne, ridimensionando la percentuale di opere d’alpinismo e d’avventura.
Anche la Società italiana di Medicina di montagna, che da più di dieci anni è presente al film festival con eventi scientifici divulgativi, ha voluto essere presente seppure in modalità a distanza, ma con un argomento quanto mai attuale e sul quale c’è ancora molto da dire, studiare, capire. Bisogna rendere merito ad Antonella Bergamo, vicepresidente della Simem, che ha fortemente voluto il convegno e con grande capacità di adattamento si è trovata a rivoluzionare il programma e gli studi pianificati per rivolgere l’attenzione al virus capitato tra capo e collo e ha messo insieme in poco tempo una scaletta di interventi quanto mai interessanti. Moderati da Elena Baiguera Beltrami, ufficio stampa della Sat, sono così stati analizzati una serie di aspetti della pandemia tuttora in corso.

A Gege Agazzi di Bergamo, segretario della commissione centrale medica del Cai e consigliere Simem, è stato affidato il compito di tratteggiare differenze e analogie tra il Covid-19 e l’epidemia di “Spagnola”, l’influenza che tra il 1918 e il 1920 causò nel mondo circa 50 milioni di morti. Se i virus, il tipo di polmonite e la letalità delle due malattie sono diversi, sorprendenti sono le analogie negli aspetti comunicativi, filtrati spesso da censura in ambedue le situazioni, e nella reazione della popolazione colpita in entrambi i casi da gravi problemi economici.

Franco Finelli, presidente della Commissione centrale medica del Cai, ha spiegato l’atteggiamento precauzionale assunto dai medici del Cai, mantenuto anche a fronte di spinte ad allentare il controllo. Finelli ha sottolineato l’importanza di fare rete anche all’interno del Cai, con la commissione alpinismo giovanile e con la commissione cinematografica che ha girato dei tutorial per le misure di prevenzione. Infine ha illustrato il “kit Covid”, creato con la commissione rifugi del Cai, composto da un generatore di ozono per la sanitizzazione degli ambienti, un termometro, un saturimetro, mascherine e cartellonistica. Il kit è stato distribuito gratuitamente in tutti i rifugi del sodalizio.

trekking in val bregaglia

Trekking in Val Bregaglia

Francesco Marchiori ha sottolineato l’interazione tra salute e stili di vita umani e animali e l’ambiente alla base di questa pandemia. Il virus sembra provenire dai pipistrelli, specie animale con alta resistenza alle infezioni virali, ma il salto di specie (detto “spillover”) è stato possibile per la pressione antropica su certi ecosistemi, per la riduzione di habitat di specie animali, per l’aumento dei consumi di risorse naturali, per i cambiamenti climatici e ambientali. Il link tra salute umana, animale e ambientale è il nodo sul quale potrebbero innestarsi e emergere future epidemie e quindi l’attenzione deve essere rivolta alle carenze igieniche, agli allevamenti intensivi (vedi influenza suina e aviaria), all’inquinamento da PM10 ancora da studiare a fondo. Gli sforzi sanitari dovrebbero essere rivolti non solo alla ricerca di cure e vaccino ma anche all’educazione sanitaria, alla conservazione dell’ambiente e degli habitat animali in un’ottica di approccio alla salute umana interconnesso con la salute animale e ambientale.

Alla domanda se il contagio da Covid abbia colpito meno le aree di montagna, ha cercato di rispondere Giacomo Strapazzon, vice direttore dell’Eurac di Bolzano. I dati dicono che l’incidenza del contagio è stata più alta nei comuni montani, forse per l’inizio del lockdown in coincidenza del picco della stagione turistica invernale. Si è però registrato in tale periodo un calo degli incidenti gravi in montagna del 75%. A livello mondiale ci sono stati però meno casi in alta quota, Himalaya e catena andina. Tante le ipotesi da verificare: diversa suscettibilità e diverso stile di vita delle popolazioni, condizioni climatiche sfavorevoli per il virus. La bassa densità della popolazione potrebbe aver protetto certe zone dalla diffusione del virus e quindi occorre attenzione, quando si riaprirà alle spedizioni, a non diffonderlo in aree in cui il sistema sanitario è critico. Da notare infine che sulle Alpi in estate, a fine confinamento, gli incidenti sono aumentati del 170%, forse perché sono aumentate le persone con poca esperienza, forse perché in talune aree i sentieri non hanno potuto avere la corretta manutenzione.

Il convegno è stato concluso dall’intervento dello psichiatra Paolo Di Benedetto, presidente della neonata Società di montagna terapia (Simont). Di Benedetto ha riferito come il Covid 19 abbia causato disturbi vari, dalla cefalea all’insonnia, fino a casi di disturbo da stress post traumatico, (ansia, depressione, attacchi di panico, distacco dalla realtà, apatia), che interviene dopo eventi gravi non solo bellici, ma anche naturali come terremoti e adesso osservato anche nel Covid-19. Il confinamento iniziale ha poi indicato alle persone una strategia di “salvezza” nella chiusura al proprio interno, penalizzando la socializzazione e la vita all’aria aperta. La montagna nella fase di apertura ha proprio svolto un ruolo clinico terapeutico ed educativo. Soprattutto il camminare (immagine metaforica del mutamento) in montagna è una grande opportunità terapeutica e educativa per curare noi stessi e gli altri.
Forse non a caso il festival si è chiuso con la proiezione del film di Werner Herzog “Nomad”, sulla figura di Bruce Chatwin, viaggiatore, esploratore e camminatore per eccellenza.

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