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Che l’alta quota non faccia bene al cervello è risaputo, ma poco si sa sull’entità dei danni e sulla loro dimostrazione radiologica. Alcuni ricercatori dell’Università di Zaragoza*, hanno dimostrato con la risonanza magnetica nucleare, i danni cerebrali che residuano dopo scalate in alta quota, e non solo oltre gli ottomila metri.



Hanno esaminato 35 alpinisti abbastanza giovani, di età compresa tra i 22 e i 46 anni, prendendo in esame ascensioni diverse, all’Everest, all’Aconcagua, al Kilimanjaro e al Monte Bianco. È sorprendente non solo che dei 13 alpinisti della spedizione all’Everest, solo uno avesse una risonanza completamente normale, ma anche che ben tre su sette al ritorno dal Monte Bianco avessero delle anomalie alla risonanza, pur in assenza di sintomi.



In particolare i ricercatori hanno osservato alcuni casi di lesioni irreversibili in alpinisti amatoriali non ben acclimatati, recatisi ad altissima quota (superiore a 5.500 metri). In alcuni alpinisti professionisti, senza sintomi, sono stati riscontrati segni di atrofia corticale, compatibili con un quadro di danno cronico. La conclusione, sempre secondo i ricercatori spagnoli, è che le ascensioni ad alta quota comportano un rischio non trascurabile di sviluppare lesioni cerebrali e atrofia, evidenziabili con la risonanza magnetica, e che il rischio sembra maggiore nei soggetti non acclimatati in modo appropriato.



Il risultato della possibile perdita di neuroni in alta quota dipende però da fattori diversi, non ultimo anche dalle potenzialità di base: come ebbe a dire in una conferenza Tom Horbein, che scalò l’Everest per la cresta ovest nel 1960, !



*Fayed N, Modrego P e Morales H “Evidence of brain damage after high altitude climbing by means of Magnetic Resonance Imaging” The American Journal of Medicine (2006) 119, 168.e1-168.e6.







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