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1818-2018, un bicentenario che poche aziende possono celebrare. Tra di esse c’è la Grivel di Courmayeur, storica fabbrica di piccozze e ramponi e oggi di altre attrezzature per l’alpinismo. In duecento anni le piccozze ne hanno fatta di strada…

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Si dice che la piccozza non fosse un attrezzo nel corredo di Gabriel Paccard e di Jacques Balmat quando l’otto agosto 1786 salirono in vetta al Monte Bianco e nacque, per convenzione beninteso, l’alpinismo. L’iconografia mostra Jacques Balmat con un lungo bastone dalla punta ferrata e un’accetta fissata in vita alla cintura.
Dell’uso del bastone ferrato, con mucrone (sostantivo che indica la punta della lancia e della spada), o con uncino, si ha notizia sin dal Medioevo, e così dell’accetta, utile in molte circostanze, tra le quali intagliare appigli nel ghiaccio.
Jean Jacques Carrel nel primo tentativo al Cervino nel 1857, usa ancora un lungo bastone e si porta appresso un’ascia. Nel 1861 combina i due attrezzi dando vita a una rudimentale piccozza.
La piccozza nasce proprio dalla necessità di integrare i due attrezzi, bastone e accetta, e per lungo tempo mantiene anche l’assetto dell’ascia, con la lama verticale lungo l’asse del bastone. Tale è la piccozza di Michel Croz, la guida di Edward Whymper, morta sul Cervino dopo la prima ascensione nel 1865. Whymper da parte sua riferisce di aver fatto forgiare la sua sul modello di quella di Melchior Anderegg e specifica che “è di ferro forgiato, ma con becco e paletta temprati”.

Grivel RerrordactylIl manuale di alpinismo di Fiorio e Ratti – (Cai Torino 1989) scrive ancora di bastone e piccozza, persino di ascia da ghiaccio, usata per intagliare gradini sui ripidi pendii ghiacciati perché i ramponi sono ben lontani dall’entrare in uso, e così fa Leslie Stephen sull’Alpine Journal del 1864. Jules Brocherel in “Alpinismo” del 1898 descrive le caratteristiche della piccozza media, lunga 120 cm e pesante 1250 g, ma nella stessa opera parla pure di bastone ferrato. Cominciano ad apparire attrezzi con palette perpendicolari all’asse del manico, a forma triangolare o smontabile dal manico, come quelle di Emil Zsigmondy, alpinista austriaco morto sulla Meije nel 1885 e della guida di Courmayeur Julien Grange “La Berge”, quest’ultima conservata nel museo della montagna Duca degli Abruzzi di Courmayeur.

26 settembre 1954, la copertina della Domenica del Corriere è dedicata alla conquista del K2

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Con l’introduzione dell’uso dei ramponi non è più necessario tagliare gradini su gradini e la piccozza poco per volta si trasforma. La paletta si accorcia e la becca tende ad allungarsi, vi appaiono i denti per migliorare l’ancoraggio e il manico si accorcia per offrire maneggevolezza e appoggio diversi. Con tali piccozze si scalano Nord di Eiger e Grandes Jorasses. Alcune piccozze degli anni Trenta sono vere e proprie opere di design, come la svizzera  Bhend di Grindelwald, dalla forma slanciata.  Una vera rarità degli stessi anni è l’ingegnosa “piccozza con rotella” costruita da Piero Ghiglione, non a caso ingegnere, per poter essere usata anche come bastoncino da sci. E’ stata esposta alla recente mostra al Museo nazionale della montagna del Cai Torino. Molti alpinisti arrivavano a farsi fare attrezzi “su misura”: il più delle volte contribuiscono all’evoluzione dell’attrezzo, che in altri casi rimane mera curiosità. Per esempio le guide di Courmayeur Osvaldo e Arturo Ottoz usavano piccozze speciali in acciaio inox, fatte appositamente dalla Grivel, perché sostenevano che il loro sudore ossidasse velocemente il metallo. Negli anni Cinquanta Walter Bonatti scriveva un “curriculum” della propria attrezzatura Grivel, fornitore anche di numerose spedizioni: quella italiana al K2, e poi alcune inglesi, svizzere e austriache.
Una famosa copertina della Domenica del Corriere mostra la piccozza Grivel piantata sulla vetta con le bandiere Italiana, Pakistana e del CAI.

Grivel Rerrordactyl

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Negli anni Cinquanta gli scozzesi scalano sistematicamente le gully, i couloir, delle Highlands e impongono la ricerca di nuove soluzioni: nasce la Terrordactyl, lunga 40 cm con becca inclinata di 45°, ideata da Hammish Mc Innes (foto) Intanto Yvon Chouinard fa costruire da Charlet Moser una piccozza lunga 55 cm con becca ricurva e comincia a scalare le cascate di ghiaccio in Canada. Nei primi anni Settanta si afferma in Europa una nuova tecnica, la piolet traction, soprattutto ad opera di Walter Cecchinel che grazie ad essa realizza prime ascensioni impegnative come la Nord del Grand Pillier d’Angle con Georges Nominé e il Couloir nord est dei Dru con Claude Jager. Lo seguono Patrick Gabarrou e Jean Marc Boivin (Supercouloir del Mont Blanc du Tacul) e negli USA John Bragg, Rick Wilcox, Jeff Lowe e Mike Weis scalano cascate. In Italia Gian Carlo Grassi e Gianni Comino sono i paladini del piolet traction salendo couloir in alta quota e cascate ghiacciate.

Grivel, piccozze Rambo e The Machine

Grivel, piccozze Rambo e The Machine

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La piccozza si evolve, con le lame “a banana” e le lame “tubolari” e i manici non più di legno, ma di leghe leggere e soprattutto ergonomici, introdotti per la prima volta da Grivel, intanto passata nelle mani di Gioachino Gobbi, apportatore di nuova linfa e creatività. Si affinano i materiali e con le gare di arrampicata e il dry tooling si ha un’ulteriore trasformazione delle piccozze, nelle becche e nei manici, come mostrano la Rambo del 1986 e poi la Light machine di Grivel,  fino all’X monster.

Oggi siamo più che mai nell’era non della piccozza, ma delle piccozze, più tipi  da usare  in base al tipo di ghiaccio, di pendenza e di parete da affrontare. Duecento anni non sono stati pochi neppure per le piccozze.

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