Courmayeur, XIV edizione di Noir in Festival. Alle 6 del mattino, nel gelo secco di un dicembre ancora avaro di neve, un’ombra scivola veloce sulle strade. È quella di Michael Collins, scrittore a tempo pieno e sportsman par-time che in aprile, per la maratona del polo nord, calzerà scarpette artigliate con ramponi. E lui si allena anche qua, senza tregua.
Si è presentato così, fisico asciutto, capello biondo corto, faccia pulita e un nome ingombrante. Come non pensare all’eroe nazionale irlandese e all’omonimo film del regista Neil Jordan che vinse il Leone d’oro a Venezia nel 1996? Già . Ma il Michael Collins di oggi non è stato in prigione per la causa indipendentista irlandese. No. La grinta al più la mette tutta nella corsa e nelle parole. Certo, è nato in Irlanda, però ora vive a Seattle, negli States, ha quarant’anni e benché mandi spesso benevolmente al diavolo gli inglesi, la sua prosa straordinaria si addentra nelle pieghe più nascoste, e inquietanti, della società americana.
Anche in quest’ultimo “Anime Perse” (Neri Pozza, pagg. 313, €. 16,00), ambientato nella desolata provincia del Midwest, dove alla fine si scopre che è proprio chi vende l’immaginetta bella della famigliola sorridente e felice a calcare la punta dell’iceberg del marcio. Eppure Collins non è mai così banale e manicheo da circoscrivere il male, e dunque il bene, in un unico individuo o in un’unica realtà . La realtà è composita: luci e ombre, dentro ogni cosa, dentro ogni uomo, ogni paese, ogni famiglia, ogni mondo.
Ma che ne sa lui dell’America? Forse più di altri: Collins ha la visione d’insieme e il distacco di chi non ci è nato. La conoscenza però è quella di chi ci vive da oltre vent’anni. Gli editori a stelle e strisce lo guardano con sospetto, questo ragazzo di Limerick che ha anche lavorato per la Microsoft e si permette di alzare il ditino e far notare che… Quella del ditino in effetti è un’immagine impropria, se è vero che non vi è mai traccia di moralismo in Collins.
Che cosa scrive Michael Collins? Scrive romanzi che definire noir non è sbagliato ma non basta. C’è filosofia dietro al nostro Doctor of Philosophy dell’Università dell’Illinois. La sua America, per chi ha visto i film, è un po’ quella di “Dogville” e “American Beauty”.
È d’accordo Mr. Collins?
“Dogville” non l’ho visto ma quello che vien fuori, attraverso la suspense del thriller, è un punto di vista filosofico, e cioè che l’America ha due volti: uno liberal, democratico, moderno, avanzato e tecnologico (basti dire che Bush vuole portare l’uomo su Marte!) e l’altro retrogrado, superstizioso, credulone, puritano e arretrato della sua provincia infinita. E spesso, come in “American Beauty” dietro la maschera bella (di plastica), si cela qualcosa di inquietante e di represso. In “Anime perse” poi – e non a caso – tutto comincia con Halloween, la festa delle maschere.
Chi sono le anime perse?
Sono le vite infelici di questi uomini alla Lawrence, il poliziotto protagonista del mio ultimo romanzo: nonostante abbiano problemi finanziari e affettivi dovuti alla società in cui vivono rimangono dei patrioti convinti. Io stesso vivo in America, ho sposato un’americana e ho due figli. Questo non significa che devo guardare le cose in modo acritico.
E l’Irlanda? Non vorrebbe tornare?
Sì ci tornerei. I miei figli hanno il doppio passaporto così siamo pronti a tornare.
Belfast o Galway?
Tornerei a Limerick, che è più vicino a Galway, nel sud, la zona più nazionalista.
Progetti?
Sto scrivendo un romanzo distopico, altro genere dunque, che prefigura una società tutt’altro che utopica. Come nei casi di “1984” di Orwell o in “Fahrenheit 451” di Bradbury. Con la differenza, rispetto a Orwell, che non c’è un’oligarchia totalitaria o un potere identificabile come nemico costituito da un gruppo di potere che trama dietro le quinte del mondo. È la tecnica stessa che porta l’uomo sempre più lontano da se stesso. Come quel mio collega della Microsoft che ingrassava davanti al computer e comunicava in modo virtuale dimenticandosi del suo corpo e di chi gli era accanto.