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La Corma di Machaby chiusa agli arrampicatori. A partire da venerdì 27 aprile 2012, con atto Sindacale, è stata ordinata la chiusura della frequentata palestra di arrampicata sita nel Comune di Arnad e di proprietà della Comunità Montana dell'Evançon. Il sindaco di Arnad Pierre Bonel ha emesso l’ordinanza su richiesta della Comunità montana Evançon, che è proprietaria del terreno, a causa dell’incidente del 21 aprile 2012 che ha causato la morte dell’istruttore nazionale di alpinismo del Cai Maurizio Carcereri.

Secondo l’ordinanza «vige il divieto di accesso all'intera struttura, Pilastro Lomasti, Paretone, La Gruviera, Case Fara (zona Opera Rock e Mitico Vento) e La Paretina (nei pressi del parcheggio adiacente la S.S. 26), al fine di permettere agli esperti di effettuare ulteriori accertamenti tecnici finalizzati all'individuazione ed alla rimozione di potenziali elementi di pericolo per la pubblica incolumità».
 
Contro l’ordinanza sono subito sono insorte le guide alpine e gli operatori turistici della zona. Il presidente delle guide valdostane, Guido Azzalea, annuncia ricorso al Tar. Secondo i legali consultati dalle guide alpine l’ordinanza può essere emessa solo se c’è grave rischio per l’incolumità pubblica, come frane e valanghe, ma qui è caduto solo un sasso per quanto grave sia stato il suo effetto. Inoltre il divieto di accesso è stato emesso senza richiesta della magistratura e suona come un’ammissione di colpa. Molto preoccupati per le ricadute economiche sono i ristoratori della zona che hanno negli arrampicatori una buona percentuale dei loro clienti.

Su altre motivazioni si è espresso invece Giacomo Stefani, presidente del Club Alpino Accademico.  A Trento, alla tavola rotonda su “etica e percezione del rischio” nel corso del convegno sulla sicurezza in montagna organizzato dalla Società Italiana di Medicina di Montagna e dalla Commissione centrale medica del Cai, ha citato la chiusura della Corma di Machaby come esempio di limitazione della libertà individuale. «Rischiare è una scelta di libertà – ha affermato Giacomo Stefani – e senza libertà l’alpinismo non sarebbe più tale, si ridurrebbe a uno sport come tanti».

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