Il punto sull’ipotermia accidentale è stato fatto venerdì 25 settembre al 2° simposio internazionale organizzato a Zermatt da Beat Walpoth, Hermann Brugger, Giuseppe Faggian, Marie Meyer e Bruno Yelk, con l’apporto della commissione medica della Cisa – Ikar.
Un convegno importante che ha analizzato le basi fisiopatologiche dell’ipotermia accidentale e le interazioni tra ipossia (e quindi alta quota) e ipotermia anche alla luce delle implicazioni terapeutiche. Sono stati discussi i problemi inerenti la terapia pre-ospedaliera, l’after-drop reaction (mito da sfatare?) e i possibili danni da movimenti attivi e passivi cui il paziente può essere sottoposto nel recupero e nel trasporto.
Alcuni case-reports presentati hanno suscitato vivo interesse e fatto riflettere sull’importanza di linee guida aggiornate per il recupero e il trattamento degli ipotermici. Al fine di migliorare non solo la sopravvivenza,ma anche per dare indicazioni chiare sulla prognosi e sulle strategie terapeutiche il simposio è stata occasione per lanciare l’International Hypothermia Registry, sorta di banca dati sull’ipotermia accidentale.
Particolarmente toccante è stato l’intervento di Anna Bagenholm, radiologa, sopravvissuta dieci anni fa al caso di ipotermia più profonda che si conosca, 13,7 °C. Anna Bagenholm fu vittima di una caduta mentre sciava nel distretto di Tromso, in Norvegia, finendo nell’acqua di un torrente sotto una lastra di neve e ghiaccio. Viso fuori dall’acqua poteva respirare, ma l’ipotermia insorse prima che i soccorritori potessero estrarla dal buco in cui era caduta. La storia di Anna Bagenlholm ha fatto il giro del mondo, ed è persino stata citata in una puntata del serial CSI New York ed è un esempio di come vada sempre applicato il principio che un morto per ipotermia (senza asfissia) debba essere dichiarato tale solo il riscaldamento.